Onu, missione compiuta
Abbiamo intervistato l’arcivescovo Celestino Migliore che lascia, dopo 8 anni, l’incarico di osservatore presso le Nazioni Unite . Sarà il nuovo nunzio in Polonia.
Dopo otto anni nel delicato e cruciale ruolo di osservatore della Santa Sede presso l’Onu, l’arcivescovo Celestino Migliore è stato nominato da Benedetto XVI il 30 giugno nuovo nunzio in una sede assai significativa, la Polonia. Originario di Cuneo, 58 anni, è da trent’anni nel servizio diplomatico. A Varsavia, sostituisce mons. Jozef Kowalczyk, da poco nominato arcivescovo della sede primaziale polacca di Gniezno.
Le è giunta inaspettata la nomina?
Questo tipo di servizio alla Chiesa si regge su una spiritualità dell’Esodo: con i fianchi cinti, il bastone in mano. Un nunzio sa che normalmente la durata della sua missione si aggira sui sei-sette anni.
Quale significato assume per lei?
Nella vita di un rappresentante pontificio le cose vanno spesso così. Nel momento in cui si conoscono bene la situazione locale, persone e agende di lavoro, ci si è formato uno staff ben affiatato, competente e amichevole; quando si sono avviati progetti e consolidate amicizie, occorre abbandonare il campo e iniziare da un’altra parte per realizzare progetti di cui, poi, altri beneficeranno o spianare strade che altri percorreranno. Sicuramente in questo c’è un significato profondo, dato che questa situazione si ripete spesso. La chiamerei l’arte della gratuità. Io sono già all’ottavo trasloco in trent’anni ed ho avuto molte occasioni per esercitarmi a vivere in profondità ma anche con distacco e libertà il mio lavoro, i miei progetti, le mie amicizie. Equivale ad apprendere l’arte della gratuità, l’arte forse più difficile da imparare, ma anche quella che ti fa sentire in pace con te stesso e con gli altri, pienamente realizzato.
Aveva già prestato servizio presso la nunziatura in Polonia. Qual’era il contesto di allora?
Vi ero arrivato nell’89, a poche settimane dalla caduta dell’ultimo governo comunista. L’atmosfera era vivacissima: piena di speranza nel futuro; di grinta nel volercela fare ad ogni costo; di determinazione nel ricuperare i valori della libertà, della democrazia, dell’iniziativa, della solidarietà. Erano i tempi in cui papa Giovanni Paolo II ricordava ai suoi connazionali che Solidarnosc non doveva restare solo un movimento sociale e politico, ma tradursi in nuova cultura, capace di rigenerare le strutture, le istituzioni ed il tessuto sociale e civile del paese. Capace di dare un’anima al futuro della nazione. Tutta questa carica di idealità permetteva ai polacchi di affrontare con coraggio le ristrettezze dei tempi.
Osservatore alle Nazioni Unite: il momento che ricorda in modo particolare?
Tra i momenti che ho gustato maggiormente si colloca la lunga ovazione riservata a papa Benedetto XVI dopo la sua allocuzione nell’Assemblea generale, il 18 aprile 2008. Non tanto per l’applauso, ma per il suo significato. Qualcuno mi fece osservare: non ti pare ipocrita tutto quell’entusiasmo nel salutare le parole del papa, quando, già domani, forse, gli stessi diplomatici adotteranno proposizioni contrarie alle sue convinzioni? Per me, invece, quell’ovazione non poteva provenire che dal sussulto del dover essere che alberga in ogni cuore, al di là delle politiche quotidiane. Tutti quei diplomatici si sono sentiti leggere nella mente e nel cuore i migliori sentimenti, le migliori idee e convinzioni personali ed hanno vibrato a questo momento di verità. Ho potuto misurare tangibilmente la forza dell’autorità morale del papa e della Chiesa. Ma, poi, ci sono mille altri momenti, molto più quotidiani, fugaci, ma altrettanto ricchi e arricchenti, generalmente legati alla qualità dei rapporti personali stabiliti ad ogni livello.
Quale iniziativa da lei intrapresa è stata significativamente feconda?
Io sono solito descrivere la nostra attività all’Onu a tre livelli: la partecipazione al dibattito sulle questioni internazionali di attualità; il negoziato di convenzioni, trattati, ma anche della cosiddetta soft law – ovvero, risoluzioni, decisioni, piani di azione, dichiarazioni -; e l’attività umanitaria. In tutti e tre i campi si sono registrate vere soddisfazioni, tra immancabili frustrazioni e inconcludenze.
Quelle più gratificanti?
Forse, quella che chiamo l’attività umanitaria in senso ampio, è stata maggiormente gratificante. Ricordo il Protocollo di Nairobi, sul monitoraggio locale del flusso di armi illecite nell’Africa centrale, coronamento di una buona operazione con una delegazione di vescovi e laici della zona dei Grandi Laghi, venuti all’Onu per perorare la causa della loro gente. Ho trovato porte aperte in tutte gli uffici Onu e missioni diplomatiche quando si trattava di intervenire per l’appoggio alla scuola in Liberia, o per la prevenzione e cura dell’Aids in Rwanda e Haiti; per smantellare reti di bambini soldato, in Africa o in America Latina.
E nei dibattiti i suoi interventi sono stati ascoltati o… snobbati?
Circa la nostra partecipazione nel dibattito, mi sono presto accorto che su alcuni argomenti – come i diritti e la promozione della donna – era pressoché inutile fare discorsi. Il pregiudizio verso la Chiesa era troppo grande. Sicché, abbiamo cominciato ad organizzare eventi paralleli, col concorso di università, associazioni cattoliche e organizzazioni non governative, e presentare esperienze, dati, realizzazioni, testimonianze. Siamo partiti con una trentina di partecipanti, che nel frattempo sono decuplicati. E’ risultato il metodo più efficace per scalfire il muro dei pregiudizi, creare interesse e divulgare una giusta prospettiva sull’argomento.
Una missione vera e propria nel Palazzo di Vetro?
Il contributo della Santa Sede all’Onu si basa sul patrimonio della dottrina sociale della Chiesa. Ormai da cinque anni abbiamo avviato un condensato di scuola di dottrina sociale della Chiesa per studenti universitari americani. Ogni anno, a fine maggio, ne ospitiamo una cinquantina a New York per una settimana di dibattiti, interviste, confronto con esperienze varie all’Onu e nella città, e vita comunitaria e spirituale. Gli echi sono sempre più incoraggianti.
Dovrà passare le consegne: quanto tempo sarà necessario?
Temo che anche il mio successore adotterà il metodo usato con me: buttati in acqua e impara a nuotare. Non gli sarà difficile perché troverà uno staff preparatissimo, oltre che giovane, dinamico e dotato di gran senso dell’umore.
Quando inizierà il nuovo compito in Polonia?
Post acquas, come dicevano i romani.