Onu: l’Africa vuole far sentire la sua voce
Gli Stati Uniti sarebbero favorevoli all’ingresso di membri permanenti africani, ma non vogliono concedere il diritto di veto. Una posizione che dimostra chiaramente che ancora oggi gli africani non sono ritenuti all’altezza delle “cosiddette” grandi potenze.
La posizione comune dell’Unione africana (Ua) sull’allargamento del Consiglio di Sicurezza è il Consenso di Ezulwini, adottato nel 2005, che prevede due seggi permanenti con potere di veto e cinque seggi non permanenti.
L’Africa non vuole più accontentarsi dei tre seggi di membri non permanenti che ha nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu, e lo rende noto. Dieci giorni fa, sul podio dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il presidente congolese Félix Tshisekedi ha lanciato un appello per la creazione di due seggi permanenti per il continente africano, una questione di “giustizia”, secondo lui.
Finora solo tre Paesi africani hanno avuto un seggio non permanente nel Consiglio di Sicurezza. Questi sono Sierra Leone, Algeria e Mozambico.
«Nel 1945, la maggior parte dei Paesi africani erano ancora sotto la dominazione coloniale e non avevano voce in capitolo negli affari internazionali», sottolinea Amadou Ba, professore di storia africana precoloniale e coloniale alla Nipissing University di North Bay, Ontario. «Oggi siamo nel 2024 – prosegue Ba – e l’Africa rappresenta 1,4 miliardi di abitanti, ovvero il 18% del totale mondiale, senza contare che nel 2023 più di un terzo dei Consigli [di Sicurezza Onu] ha riguardato l’Africa, e più della metà di tutte le sue decisioni riguardavano questioni di sicurezza africane», conclude.
Lo scorso agosto, Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu, si è espresso in modo piuttosto diretto, chiedendo con urgenza una riforma del Consiglio di Sicurezza, criticandone la struttura obsoleta e la mancanza di rappresentanza dell’Africa, che, secondo lui, mina la credibilità del Consiglio e la sua legittimità globale.
Anche gli stati africani svolgono un ruolo sempre più importante nel sostenere l’agenda internazionale di pace e sicurezza. «È tempo che i leader africani abbiano un posto permanente nel Consiglio di Sicurezza», ha spiegato l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, durante una conferenza organizzata dal think tank Council on Foreign Relations, dopo aver chiesto un «adeguamento del Consiglio al XXI secolo». I Paesi africani hanno attualmente tre dei dieci seggi non permanenti, assegnati a rotazione per un mandato di due anni. «Il problema è che questi seggi elettivi non consentono ai Paesi africani di apportare il beneficio della loro conoscenza e della loro voce al lavoro del Consiglio», ha ammesso il diplomatico americano.
Anche gli Stati africani svolgono un ruolo sempre più importante nel sostenere l’agenda internazionale di pace e sicurezza. Più della metà dei 20 principali contributori alle operazioni di mantenimento della pace delle Nazioni Unite, ad esempio, sono stati africani. Anche l’Unione africana ha intrapreso una serie di operazioni di pace da sola, talvolta in collaborazione con le Nazioni Unite.
Ma Washington si oppone all’estensione del diritto di veto a Paesi diversi dagli attuali cinque permanenti. Il presidente sudafricano Cyril Ramaphosa ha descritto questo status di membro permanente senza diritto di veto come una «partecipazione di seconda classe». «Chiediamo e pretendiamo una seria partecipazione al Consiglio di Sicurezza dell’Onu», ha insistito. «Non è possibile che l’Africa abbia una partecipazione di second’ordine al Consiglio di Sicurezza dell’Onu».
A ciò si aggiunge la questione di quali Paesi scegliere. Verrebbero designati in base alla dimensione della loro popolazione o del loro territorio? Alcuni Paesi sarebbero già individuati più di altri per poter far parte della lista finale: Sudafrica, Nigeria, Etiopia, Algeria e Marocco. Ma dalle discussioni tra i Paesi africani non è emerso alcun accordo. Probabilmente nella prossima sessione dell’Unione Africana (Ua) nel 2025 molte zone grigie verranno chiarite.
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