Ong e migranti, facciamo chiarezza
La questione dell’accoglienza di migranti e rifugiati è sempre più al centro del dibattito pubblico, suscitando alcune domande che restano inevase. Cerchiamo di affrontarle assieme con particolare attenzione alla tesi di alcuni organi di stampa secondo cui, senza la presenza delle imbarcazioni delle Organizzazioni non governative (Ong), gli scafisti non avrebbero interesse a mettere in mare i migranti esponendoli al pericolo di morte.
Accuse e teoremi
Teniamo presente che esiste il fenomeno dell’arrivo indipendente di imbarcazioni sulle coste italiane. Segno che, a prescindere dalle Ong, il viaggio lo si organizza comunque, mentre le indagini finora condotte hanno escluso ogni connivenza tra organizzazioni non governative e implicazioni nel traffico di esseri umani.
Nello scorso mese di maggio è venuto meno il “Teorema Zuccaro” (dal nome del procuratore capo di Catania), dato che il giudice per le indagini preliminari (Gip) di Catania ha accolto la richiesta di archiviazione della stessa procura di Catania relativa all’inchiesta avviata a carico del comandante e capomissione della nave umanitaria Open Arms con l’accusa di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Il caso concreto si riferiva al salvataggio di oltre 200 persone avvenuto al largo della Libia il 15 marzo 2018. Accusare le Ong di associazione a delinquere e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, quindi, non ha senso.
I dati dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) ci dicono che, nel 2019, solo l’8% dei migranti arrivati via mare è giunto in Italia attraverso una Ong (su 3.073 migranti solo 248 sono arrivati a bordo di una nave registrata da una Ong). Il restante 92% è arrivato con modalità miste e meno visibili, gli “sbarchi fantasma”, autonomi e non tracciabili. Le notizie che giungono dalla Libia sono sempre più gravi e certamente molte persone tenteranno di mettersi in viaggio via mare per raggiungere un porto sicuro.
Il blocco navale
La paura dell’invasione dei migranti conduce, poi, a proporre il blocco navale come cavallo di battaglia della campagna anti-immigrazione. Il ministro dell’interno Salvini parla di un piano per controllare l’immigrazione che prevede tra le altre cose «l’incremento dei controlli per ridurre le partenze con utilizzo di radar, mezzi aerei e navali» e la «presenza delle navi della Marina e della Guardia di finanza per difendere i porti italiani». Facciamo attenzione, però: la scelta di schierare le navi della Marina militare a presidio dei porti italiani dovrà essere avvalorata dal Consiglio dei ministri con l’ok della ministra della Difesa Trenta e del premier Conte. Servirà poi anche il via libera del presidente Mattarella, senza citare l’esborso economico, coinvolgendo il ministro Tria, e la necessità di un via libera anche del Parlamento. Immaginiamo una nave militare che con la sola sua presenza sia ad effetto deterrenza. È realistico? La cosa “paradossale” sarebbe, inoltre, che in acque internazionali una nave della Marina sarà obbligata a compiere il fatidico salvataggio. Sono i numeri pubblicati dallo stesso Viminale che mostrano come non vi sia alcuna emergenza immigrazione in Italia nel 2019 e l’inutilità anche solo di pensare a blocchi di qualche genere.
“Ero straniero”
Ma a questo punto sorge la domanda: che soluzione proponete? Partiamo dal fatto che in Italia, oggi, a parte la richiesta di protezione internazionale, non esistono canali di ingresso regolari per gli stranieri extra-comunitari che vorrebbero cercare anche solo un lavoro. Tra l’altro, qui da noi vivono oltre mezzo milione di persone straniere in condizione di irregolarità e senza possibilità di accedere ai servizi sociali essenziali.
Una rete di associazioni, compresa l’Agenzia scalabriniana per la cooperazione allo sviluppo, ha promosso una legge di iniziativa popolare, “Ero Straniero”, che cerca di fornire un’alternativa costruttiva e rispettosa dei diritti delle persone. La proposta legislativa è ora approdata nelle aule parlamentari, dopo che, a fine 2018, diverse realtà italiane impegnate sul tema delle migrazioni avevano depositato 90 mila firme di cittadini che chiedevano di modificare la legge n.189 del 30 luglio 2002, Bossi-Fini, prevedendo, tra le altre cose, l’introduzione del sistema dello sponsor (sistema a chiamata diretta) anche da parte di singoli per facilitare l’inserimento nel mercato del lavoro del cittadino straniero.
Inoltre la proposta della società civile prevede la regolarizzazione su base individuale degli stranieri che si trovino in situazione di soggiorno irregolare, «quando sia dimostrabile l’esistenza in Italia di un’attività lavorativa o comprovati legami familiari». Se l’Italia e chi la governa sceglieranno di ragionare sui problemi reali e non agire a colpi di ideologie, allora questa ed altre proposte potranno mostrare il meglio che Paesi democratici e dalla cultura millenaria come il nostro hanno da offrire a chi bussa alle sue porte.
Una politica comune sulle migrazioni
Ma è chiaro, infine, che la strada da seguire resta quella di cambiare la convenzione di Dublino, e cioè l’accordo europeo sul diritto d’asilo, in senso di corresponsabilità tra tutti i Paesi dell’Unione europea.
Come chiesto ultimamente dai ministri degli Esteri di Italia e Malta per poter convergere verso una politica comune per le migrazioni perché «non è più ammissibile continuare a procedere, caso per caso, ricercando soluzioni in emergenza, con crescenti difficoltà politiche e gravissimi disagi». È quella la sede dove poter distinguere chi è disposto a lavorare seriamente per trovare una giusta soluzione e chi agita una sterile e dannosa propaganda.