Omnia vincit amor

Per la tesina da portare agli esami di maturità cercavo un argomento originale, ad esempio qualcosa di attinente all’Ideale dell’unità . Così racconta Maria Chiara Bruno, una nostra giovane lettrice pugliese che ha appena conseguito la maturità al liceo classico B. Marzolla di Brindisi. La sua scelta è caduta su un noto episodio degli inizi dei Focolari, collegato al verso virgiliano Omnia vincit amor. Il materiale necessario l’ho raccolto da Città nuova e da alcuni libri della biblioteca di famiglia, scoprendo – vedi caso! – che ce n’era uno proprio su Tutto vince l’amore. Del lavoro della Bruno, discusso il 2 luglio scorso davanti a professori attenti e interessati, diamo qui una sintesi. Il tema dell’amore è stato caro a tanta letteratura, fin dall’epoca classica. Virgilio, che nel mondo pastorale delle Bucoliche inserisce allusioni al mondo reale e a personaggi a lui contemporanei, nella X Bucolica canta l’amore dell’amico Gallo, a cui è affettuosamente dedicata l’egloga, in preda alla disperazione per l’infedeltà dell’amante Licòride. In questo caso, l’amore è lo spunto di un raffinato gioco letterario, basato su allusioni a testi di Teocrito e dello stesso Gallo, che aveva già cantato del suo amore nelle elegie. Questi, trasferito da Virgilio nel mondo bucolico, assume i tratti di un personaggio teocriteo, Dafni, il pastore che aveva preferito morire pur di non cedere alla passione amorosa. Nell’ambiente agreste Gallo esprime in un monologo l’intenzione di abbandonare l’elegia per volgersi alla poesia pastorale; ma l’evasione nell’Arcadia si rivela una vana illusione. Nel finale egli dà l’addio alle ninfe e alle selve e si arrende all’invincibile e inesorabile dio dell’amore, fino a dire: Omnia vincit amor; et nos cedamus amori (Tutto vince l’amore; anche noi cediamo all’amore). L’espressione virgiliana, ripresa in un contesto storico diverso e lontanissimo, assume in Chiara Lubich delle connotazioni originali che ne ribaltano il senso: l’amore a cui Gallo cede sconfitto e disperato diventa forza creatrice in Chiara, che dalle ceneri dei bombardamenti, durante la Seconda guerra mondiale, scopre le infinite possibilità dell’amore vissuto come donazione all’altro. Un amore che travalica i confini del contingente e le fa aprire il cuore a tutta l’umanità, facendo dell’Unità l’ideale della vita sua e dei tanti che l’hanno seguita. Erano gli anni in cui il fascismo provava ad esibire una politica sociale, cercando di trasformare l’Italia da Paese anonimo a protagonista della politica europea. Ma la scelta di Mussolini di accostarsi, a partire dalla metà degli anni Trenta, alla Germania nazista fino ad adottarne il totalitarismo e l’antisemitismo e poi la follia bellica, gli risultò fatale. In Trentino in modo particolare non era comprensibile che il Duce si alleasse con gli austro-tedeschi, la cui dominazione in Italia era stata detestata fino alla Prima guerra mondiale. Infatti, coloro che a Trento parteciparono al raduno a piazza Littorio (oggi piazza Cesare Battisti) per ascoltare il discorso del Duce, che la sera del 10 giugno 1940 comunicò l’entrata in guerra dell’Italia, tornarono a casa turbati. Caduto Mussolini, il Trentino non poté rallegrarsi a lungo della ritrovata libertà, perché dopo la firma dell’armistizio da parte del governo Badoglio, il territorio venne occupato e militarizzato dall’e- sercito tedesco. Il 2 settembre 1943 Trento aveva subìto il primo disastroso bombardamento e l’esperienza si ripeté il 13 maggio 1944. Chiara Lubich in quei tempi era una giovane maestra elementare e studentessa iscritta all’università di Venezia. Costretta a sfollare con i suoi genitori, come tanti e tanti, trascorre un’intera notte all’aperto, senza sapere dove andare. Lei stessa racconta: Ricordo di quella notte, passata all’addiaccio, sdraiata con gli altri per terra, due sole parole: stelle e lacrime. Stelle, perché, nel corso delle ore, le ho viste tutte passare sopra il mio capo; lacrime perché piangevo, capendo che non sarei potuta partire da Trento con i miei che amavo tanto. Si era riproposta, infatti, di non abbandonare la città, convinta che il suo posto fosse lì fra l’umanità sofferente. Superando il dolore del distacco dalle persone care, ricordò il motto virgiliano imparato sui banchi di scuola: Omnia vincit amor. Quando tutto crolla resta solo l’amore, un amore che dall’io si estende al noi: l’essere umano trova il senso della propria esistenza solo nella condivisione con l’altro. Ed allora farsi vincere dall’amore diventa l’esperienza che lega Chiara alle prime compagne, ma che ben presto, proprio per il suo valore universale, dilagherà nel mondo. Amatevi come io vi ho amato . Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Chiara e le sue compagne rimangono folgorate da questa frase evangelica. Scatta immediatamente nei quartieri di Trento una gara ad amare concretamente chi più ha bisogno, rischiando ogni istante la vita sotto le bombe. L’esperienza dell’amore si diffonde ben presto, nasce il Movimento dei focolari. Allo scopo di comunicare il suo messaggio Chiara ha utilizzato diversi generi letterari: lettere, pagine di diario, testi poetici, testi argomentativi o semplici brevi motti. Pur inserendosi nel solco della tradizione letteraria alla quale attinge nei molteplici suoi aspetti, non è tuttavia inquadrabile in alcuna delle correnti letterarie contemporanee. Forse si potrebbe inserire il pensiero della Lubich all’interno dell’esperienza letteraria maturata nell’immediato dopoguerra in Italia. A tal proposito si può fare un brevissimo cenno a come hanno reagito alcuni intellettuali alla Seconda guerra mondiale, ad esempio Vittorini e Pavese. Nel 1945 Elio Vittorini, ignaro di quanto a Trento stesse già avvenendo, scrivendo nel primo numero del Politecnico, interpellava non solo i cattolici, ma anche i mistici sulla necessità di far sorgere – sulle rovine di quel periodo storico – una nuova cultura. Cesare Pavese, da parte sua, nel 1948 aveva concluso uno dei suoi romanzi (La casa in collina, cap. XXIII) con queste parole: Ora che ho visto cos’è guerra, cos’è guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: E dei caduti che facciamo? Perché sono morti?. Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Chiara Lubich esprime una nuova cultura. Il suo atteggiamento nei riguardi di tanta devastazione è, infatti, diverso. Sempre in quella famosa notte di stelle e lacrime, dopo il bombardamento del 13 maggio 1944, sollecitata dal detto virgiliano Omnia vincit amor, riletto in chiave evangelica, lei passa subito ai fatti, rispondendo all’odio con l’amore. A dimostrazione di ciò mi sembra importante citare le sue stesse parole: Io m’avviai verso la città bombardata. (…) In Corso 3 Novembre mi è venuta incontro una signora disperata che, prendendomi per le spalle, mi grida: Quattro me ne sono morti!. L’ho consolata come ho potuto ed ho compreso, con quella comprensione che non si cancella, che, da allora in poi, al posto del mio dolore per aver lasciato i miei, avrei dovuto portare in cuore quello dell’umanità sofferente. Così è stato; e il suo messaggio, partito dalla città di Trento, ha varcato qualsiasi confine geografico, assumendo una dimensione esistenziale valida in ogni luogo e in ogni tempo.

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