Omicidio di Francesco Pio, non è una tragedia isolata

L'uccisione di Francesco Pio Maimone, giovane napoletano di 18 anni, è solo uno dei tanti episodi di violenza che continuano a ripetersi nella città partenopea. E a fronte di tanti che si impegnano per un riscatto, manca ancora una vera azione collettiva per uscire da questa spirale
Carabinieri, foto di oltreme da Pixabay
Carabinieri, foto di oltreme da Pixabay

Si chiamava Francesco Pio Maimone, aveva 18 anni, voleva fare il pizzaiolo. Viveva a Pianura, periferia di Napoli. Aveva tanti amici, con i quali il sabato sera usciva per un giro agli chalet di Mergellina e proprio là, mentre era seduto a chiacchierare e a bere con loro, è stato ucciso diventando l’ennesima vittima innocente, come tanti, troppi in questi anni a Napoli e nell’hinterland. Secondo gli investigatori, a sparargli, per vendicare l’offesa di una scarpa da mille euro sporcata, un giovane come lui, che porta il suo stesso nome e che proviene da Barra, altro quartiere periferico di Napoli.

Il quartiere, la città, la Chiesa s’interrogano su come sia stato possibile arrivare a tanto, su quanto poco possa valere la vita umana per chi è abituato a far valere la legge del più forte. Purtroppo, questa tragedia, accaduta nella notte tra sabato 18 e domenica 19 marzo non è un caso isolato, anche se questa volta ha raggiunto l’abisso del male. La violenza giovanile, spesso del tutto gratuita, come divertimento o per spezzare la noia, è presente in città grandi e piccole di tutta Italia e non da ieri. La società liquida nella quale viviamo, la mancanza di valori, l’inadeguatezza dei servizi sociali e dello stesso sistema scolastico hanno lasciato da sole le famiglie che spesso non riescono a trasmettere ai ragazzi i valori fondamentali del rispetto dell’altro, della vita, della diversità, ecc.

Gli stessi genitori, soprattutto quelli più giovani e impreparati, sono spesso ostaggio dei social media. Il mito del tutto e subito, l’importanza dell’apparire, la necessità di esibirsi (nella realtà o sui social) danno l’impressione di trovarsi in un perenne videogioco, dove tutto è lecito e dovuto, salvo poi atterrare violentemente nella vita reale. Se tutto ciò si innesta in un contesto di criminalità organizzata è facile, così come è successo, che ci scappi il morto.

Eppure i presupposti c’erano tutti: da mesi, dopo la diminuzione, e poi l’annullamento, delle restrizioni contro il Covid, la movida del sabato sera era ripresa a pieno ritmo, soprattutto in alcune zone di Napoli, dove, quasi ogni settimana, si registravano piccoli o grandi casi di violenza. Si è cercato di porvi rimedio, con interventi mai strutturali, però. È stato come mettere un cerotto su un taglio profondo.

Le stesse forze dell’ordine fanno quello che possono. Il sabato successivo all’omicidio, hanno presidiato la zona degli Chalet, ma solo fino a mezzanotte. Un report dei Carabinieri di Napoli registra, in poco più di due mesi, ben sette giovanissimi segnalati per possesso di armi. Le famiglie si riuniscono in comitati per cercare di contrastare la violenza, per sopperire alla mancanza di welfare. In Campania solo un bambino su tre frequenta la scuola anche di pomeriggio. Non ci sono abbastanza strutture sportive accessibili a costi bassi o doposcuola gratis. Le associazioni, le parrocchie fanno quello che possono, ma non basta.

È importante, decisivo, stare vicino alle famiglie, soprattutto quelle più deboli, dove separazioni, povertà, disagio sociale o culturale continuano a bloccare l’ascensore sociale. È necessario tornare a dare ai nostri giovani valori solidi per sottrarli al fascino della malavita. Soltanto mostrando loro che un domani diverso è possibile, possiamo sperare in un futuro migliore, per loro e per la società. Altrimenti sarà necessario prendere provvedimenti drastici.

Don Aniello Manganiello, un sacerdote napoletano, da sempre impegnato nel sociale, durante un’intervista del giornalista Rai Vincenzo Perone, ha affermato che «Dopo un monitoraggio serio, se c’è bisogno di allontanare i ragazzi da certe famiglie, soprattutto quelle rotte alla criminalità organizzata, bisogna farlo. Perché lasciandoli in quel contesto certe derive, certe criticità, anche violente, continuano a prendere corpo, con una ricaduta sulla città e sulla comunità».

Al funerale di Francesco Pio ha preso parte tutto il quartiere. I ragazzi, con le magliette bianche sulle quali era stampato il volto sorridente del diciottenne, scandivano la frase: «Francesco Pio vive!». Tra palloncini bianchi, canzoni e scoppio di petardi si sentiva forte la volontà di uscire dalla spirale di violenza. Così come ha chiesto anche il vescovo di Pozzuoli, Gennaro Pascarella, che ha presieduto la messa esequiale. Il presule ha esortato gli adulti a trasmettere ai giovani valori giusti che tengano assieme il tessuto sociale.

Nei giorni precedenti, assieme al suo vescovo ausiliare, Carlo Villano, aveva pubblicato un comunicato stampa, nel quale si legge: «Come vescovi e pastori siamo addolorati e preoccupati. Addolorati perché il nostro territorio, nonostante gli sforzi di tante persone buone e oneste, continua a essere provocato e martoriato. Preoccupati perché, ancora oggi, continua a esserci una illegalità diffusa, dove la violenza e il linguaggio bruto e oscuro delle armi continuano a seminare morte e disperazione. Ancora una volta siamo costretti a piangere per la morte di un giovane figlio di questa nostra amata e martoriata Città. […] Al nostro popolo, al popolo che vive con noi le ansie e le sfide del nostro territorio, supplichiamo di non arrendersi, di non assuefarsi alla violenza e alla logica conseguenza di una vita spezzata. Diciamo che non si può andare in giro armati, diciamo che l’unico linguaggio che mai potremo accettare è quello delle armi, perché è linguaggio che parla solo di violenza e di morte. […] Da questo cancro, da questa criminalità organizzata, che mina e uccide le coscienze e la nostra società, noi vogliamo liberarci. Lo chiediamo alle istituzioni ma lo chiediamo soprattutto a ciascuno di noi; perché è nel nostro agire quotidiano, quello personale e sociale, che noi siamo chiamati a dire no alla violenza, no alla sopraffazione, no alla logica del più forte e del più furbo».

Parafrasando un’affermazione di papa Francesco, dobbiamo dire che “Ci si salva solo tutti insieme, ognuno per quello che può e che deve”. Non è solo un auspicio, ma una potente verità. A noi, tutti noi, seguirla e metterla in pratica.

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