Omicidio di Thomas: gli altri siamo noi

Pescara si interroga profondamente dopo il caso di Thomas, il sedicenne ucciso con particolare ferocia da due coetanei. Serve ripartire da un farsi carico insieme dell'educazione dei giovani
Il parco Baden Powell di Pescara dove è stato ucciso Christopher Thomas Luciani, il 17enne di Rosciano ucciso con 25 coltellate domenica 23 giugno 2024. Pescara, 25 giugno 2024 ANSA/LORENZO DOLCE

C’era una canzone che ripeteva: «Gli altri siamo noi». Mi è venuta in mente nel pensare a Thomas Luciani, il sedicenne ucciso con sedici coltellate a Pescara da due coetanei per una vicenda che sarebbe legata a debiti di droga. Due giovani che hanno agito – secondo gli investigatori – con incredibile ferocia unita a inconsapevolezza del gesto, andando poi a farsi tranquillamente dei selfie in spiaggia.

Un omicidio avvenuto sotto casa di nostra figlia, e più passa il tempo e più ci si scopre amici degli amici di una di quelle povere famiglie distrutte. Non mi sento di puntare il dito su nessuno dei ragazzi: in fondo in Russia, a Gaza, sono i ragazzi a premere il grilletto, ma gli artefici sono adulti, quelli che dovrebbero dare l’esempio. Forse proprio noi adulti dovremmo fare tesoro di queste esperienze negative ed avere l’umiltà di rivedere le nostre certezze.

Una cosa che mi ha profondamente colpito sono state le parole degli inquirenti: «Non abbiamo riscontrato segni di pentimento ed empatia, anzi il desiderio di infliggere maggior sofferenza». È questa “empatia” che risuona nella mia mente. Leggo: «L’empatia è qualcosa che si impara, ma soprattutto si insegna, in famiglia, nella società. In psicologia è la capacità di porsi in maniera immediata nello stato d’animo o nella situazione di un’altra persona, con nessuna o scarsa partecipazione emotiva».

Una volta la parola “amore” aveva alcuni significati, nel tempo è stata riempita di tanti, troppi significati anche commerciali, snaturandola. Sarà mica che quando parliamo di “famiglie per bene”, senza accorgercene abbiamo perso il vero senso di questa affermazione?

Se l’empatia si impara in famiglia, se è vero che i bambini ascoltano con gli occhi, sono il primo a pormi delle domande: sarò stato un esempio di onestà per i miei figli, rinunciando a prevaricare con l’arteficio del clientelismo i diritti di un altro bambino ad iscriversi ad una classe in cui vorrei fosse mio figlio, oppure pigramente mi sono limitato a spiegare loro come va vissuta una vita onestamente? Avrò mostrato la mia empatia nel prendermi cura di quei compagni di classe dei miei figli, di quei bambini in difficoltà o senza una famiglia alle spalle, o bullizzati, anziché gridare a bordo campo contro le istituzioni che non provvedono, o ancora peggio gridare i diritti di mio figlio a priori? E ripenso ai soldi spesi nella città per il rifacimento di piazze e rotonde…e la tipica frase: mancano fondi per i servizi sociali; un mutuo che pagheremo nel tempo.

Un collega conosce la dedizione della nostra famiglia nel prenderci cura dei ragazzi di qualche quartiere un po’ disagiato e mi dice: ormai il quartiere disagiato è ovunque, devi fare qualcosa. Gli assicuro tutto il mio impegno a condizione che trovi genitori “consapevoli” con i quali lavorare spalla a spalla…..forse non è il più il tempo dei battitori liberi, ma di famiglie che insieme, spalla a spalla, si facciano carico dei propri figli, dei figli della città senza separare i miei dai tuoi, è il tempo di non delegare ma di farsi carico insieme, perché questa storia insegna che bastano pochi ragazzi per trascinare nel baratro i figli di famiglie per bene.

Questa triste storia mi ha posto una domanda: quali sono i luoghi in cui un ragazzo oggi può imparare l’empatia, il rispetto per la persona umana e non il rispetto frutto del terrore raccontato dagli inquirenti dopo gli interrogatori? Sono i luoghi del volontariato, degli oratori, parrocchie dedite ai giovani, delle associazioni. C’è una foresta che cresce nella nostra città, piccola e spesso senza finanziamenti, ma non fa notizia. Negli anni dei “cassonetti incendiati” in Francia non hanno affrontato il problema con la mera repressione che tanti agognano, ma la ripartenza, la rieducazione, la valorizzazione dei valori e potenzialità dei giovani, finanziando gli oratori, non tanto per l’aspetto religioso, quanto per quello sociale. In città ci si interroga, spero possa essere un momento di silenzio nel rispetto di quel ragazzo e delle famiglie coinvolte, un silenzio misto di umiltà e riflessioni costruttive: in fondo, “gli altri siamo noi”.

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