Omaggio ai cugini d’Oltralpe

I nostri cugini francesi il cinema lo sanno fare, e non solo commedie caustiche o brillanti. La prova l’hanno data a Roma, alla settima edizione del festival Rendez vous dal 5 al 9 aprile. Alcuni dei film presentati escono oggi in sala e vale la pena parlarne perché, pur con storie diverse e scelte registiche personali, sembrano toccare un solo argomento: la ricerca di sé stessi, di cosa significhi oggi essere uomini e donne.

Planetarium, diretto da Rebecca Zlotowski, è un film complesso, che a prima vista potrebbe anzi sembrare complicato e prestarsi a diversi piani di lettura. La storia è quella di due sorelle americane che praticano sedute spiritiche e sono in tournée in Europa. L’incontro con  il talentuoso produttore cinematografico ebreo André Korben le incoraggia ad entrare a far parte del primo film sui fantasmi, apparsi e filmati realmente. Il rapporto fra le tre persone si intreccia, si presta ad equivoci, a morbosità e a doppiezze. Cosa c’è di vero nelle sedute spiritiche delle due sorelle, specie la più giovane, e cosa desidera veramente provare su sè stesso Korben? Il confine tra uno spiritualismo vago e la verità della vita si fa ambiguo e conosce risvolti drammatici per l’ebreo Korben che verrà denunciato ai nazisti nel 1939. Le sorelle avranno trovato loro stesse nell’orizzonte incerto tra denaro, successo, amore e spiritismo?

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La regista affronta parecchi temi: la storia vera di Korben di cui la Francia non osa parlare, le sedute spiritiche – esiste davvero un altro mondo?, è la domanda ricorrente –, il rapporto d’affetto tra le sorelle, le ambiguità sessuali, il dramma della malattia e della morte: un pianeta dai molti risvolti.  La regista tenta un discorso sulla vita, non vuol risolvere  gli interrogativi sul prima e dopo la morte, ma li presenta – mediante i lunghi flashback – con lo sguardo tra passato e presente, improntato sulla incertezza. Forse l’unica verità che possa farsi strada è quella dell’amore. Già, ma quale amore? E poi esiste davvero? E in quale vita? Domande che la regista lascia allo spettatore in un film magnificamente interpretato e diretto con grande perspicacia e non senza un grumo d’ironia, nel cameo di Louis Garrel che fa Louis Garrel, ossia un attore di sempre e le sue manie.

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Ancora spiriti in Personal shopper di Olivier Assayas. E ancora due donne, ma non sorelle, bensì la star Kyra e la sua personal shopper ossia Maureen (Kristen Stewart). Quanto la prima è viziata, seducente, prepotente, la seconda è timida, tenera, sola e triste. Cerca la propria identità soprattutto ora che il fratello gemello Lewis è morto: attraverso  la sua capacità di medium cerca di intrecciare un rapporto con lui. Dov’è ora, la sente, è felice?. Nella corsa tra Milano Parigi e Londra a fare acquisti per l’esigente star, la ragazza riceve messaggi da uno sconosciuto che sa tutto di lei, e ciò, se le complica la vita, d’altra parte la incuriosisce e la porta ad osare di provare di nascosto i vestiti della star. Tenta di trovare la propria personalità, in una società indifferente, fra eventi tragici, e superare lo smarrimento della vita, l’impossibilità forse di comunicare col fratello. Ma è davvero così? Ancora una volta una domanda che attende risposta, una ricerca sul confine labile tra vita e morte, sul dopo-morte e sull’amore, prima di tutto verso sé stessi.

Il film, dalle declinazioni che vanno dal trhiller metafisico, con tocchi alla Hitchock, al dramma psicologico, dall’intimismo al sociale, è costruito in modo robusto, con un andamento lineare, su cui brilla la performance della Stewart, di una bellezza botticelliana, timida e curiosa. Miglior regia a Cannes 2016.

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E, per chiudere, ecco una magnifica Isabelle Huppert, capace di entrare come poche attrici – forse la migliore, oggi – nei più sfaccettati personaggi. Dopo Elle di Paul Verhoven, in Le cose che verranno di Mia Hansen-Love, è un professoressa di filosofia appagata, scrive, segue una collana di libri, ha un marito collega, rigido quanto lei è aperta, una figlia, una madre svanita di cui si prende cura. Una famiglia borghese di intellettuali, una situazione ricorrente in un certo cinema francese. D’improvviso tutto salta in aria: la madre muore e le lascia un gatto da curare, l’editore la congeda, il marito la lascia. È un dramma, che la filosofia non aiuta a superare. Ma la donna, ormai superati i cinquanta, non si rassegna come le altre: non si dispera, anche se soffre. E mentre il marito al solito corre dietro alla più giovane, lei trova una nuova possibilità di vivere l’amore.

Per quanto il film fili liscio sotto ogni aspetto, la Huppert domina la scena da capo a fondo, anzi si direbbe sia lei stessa ad autodirigersi, tanta è la forza morale che esce dalla sua interpretazione. Da non perdere.

 

 

Mario Dal Bello

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