Oltre i luoghi comuni della scienza e dell’esistenza
Hanno sentito la necessità di mettere nero su bianco il frutto di un dialogo che dura da anni, motivato dalla necessità di “andare oltre i luoghi comuni della scienza e dell’esistenza”. Da una parte Leonardo Becchetti, noto economista e professore ordinario all’Università di Roma Tor Vergata, e dall’altra Alessandro Giuliani, primo ricercatore dell’Istituto superiore di sanità con notevoli studi scientifici e autore di testi accessibili a tutti, sulle domande che emergono dal lavoro di ricerca.
Il testo di questo confronto trova motivo di ulteriore dibattito negli incontri pubblici legati alla presentazione del libro edito da Città Nuova con il titolo “Cristiani ragionevoli” e una copertina ironica che raffigura l’icona pop di Albert Einstein raccolta dentro un'”aureola dorata”. Cerchiamo di conoscere meglio Giuliani che ha l’ardire di muoversi in bicicletta nella sua Roma, intorno alla cittadella dell’Università La Sapienza e al vicino Centro nazionale delle ricerche.
Come è nata questo dialogo con Becchetti? Quello che avete scritto è diventato, solo in seguito il libro edito da Città Nuova. Perché?
Leonardo e io ci conosciamo da circe tredici anni in quanto entrambi facciamo parte della CVX (Comunità di vita cristiana, organizzazione laicale dei gesuiti) dove è antico costume (più o meno dalla metà del Cinquecento) la pratica della condivisione, una sorta di “giro di tavola” in cui i partecipanti mettono in comune “le risonanze” sviluppate dalla lettura (meditazione) di un testo (solitamente il Vangelo). Questa pratica, che richiede ascolto reciproco, ci ha permesso di approfondire le nostre reciproche consonanze e dissonanze e ci ha insegnato a “parlare” su un registro comune. Quando Leonardo ha tirato fuori l’idea che forse sarebbe stato bello tenere traccia dell’essenziale di quello che ci eravamo detti in tanti anni di frequentazione, la forma dialogica è emersa come quella più naturale. Dopo due anni di “cassetto” (e silenzio totale da editori ‘mainstream‘ a cui abbiamo fatto la proposta) abbiamo pensato che Citta Nuova con la sua peculiarissima posizione di ‘ponte’ tra editoria “laica” e “cattolica” (qualsiasi cosa questo voglia dire, ma credo che in questi strani tempi di etichette si possa comprendere il senso dell’affermazione) fosse l’interlocutore naturale per un lavoro di questo tipo e non ci sbagliavamo….
Il titolo del libro è “cristiani ragionevoli”, ma poi lei afferma che la sua fede è molto istintiva, a cominciare dalla devozione per la Madonna. Come lo spiega?
Cosa c’è di più ragionevole di rivolgersi a un altro essere umano (molto più arduo parlare con Dio direi…) per confidare gioie e dolori e chiedere la grazia dello Spirito se questo essere umano è quello che di Grazia e di Spirito ne ha avuti più di tutti ? Se devi fare una operazione chirurgica credo che sia ragionevole (e anche molto istintivo a ben vedere) rivolgersi al medico migliore e analoghi ragionamenti valgono per altri professionisti… Per ulteriori approfondimenti sul cruciale ruolo cosmogonico in termini di “presenza materiale nel mondo del sacro” (ricordiamoci che faccio lo scienziato di mestiere quindi alla materia ci tengo moltissimo) della Madre di Dio, rivolgersi a san Tommaso o, per un succoso riassunto, alle moderne litanie mariane di Aldo Nove (A. Nove, “Maria”, Einaudi), che ritengo un’opera poetica e teologica straordinaria.
Da studente universitario ha militato nei gruppi della sinistra extraparlamentare molto attivi nel 1977, ma con le modalità creative e ironiche dei cosiddetti “indiani metropolitani”. Una anomalia di colore nei cosiddetti “anni di piombo”. Un semplice errore di gioventù o un passaggio rilavante nella formazione personale ?
Lasciamo la definizione di “anni di piombo” alla Repubblica o al Corriere della Sera, piombo ahimè, ce n’era, ma c’era anche tanto altro, c’era un distacco (antropologico direi) dal potere che i nostri fratelli maggiori del tanto osannato ’68 non avevano (sono lì a occupare tutte le poltrone del potere politico e culturale, noi reduci del ‘77 molto, ma molto meno), c’era uno sciagurato avanguardismo che però aveva la lungimiranza di mettere al primo posto la lotta culturale rispetto a quella politica, lo straordinario rilievo dato all’arte e alla poesia… più dadaisti che comunisti insomma. Poi ovviamente c’erano i soliti errori delle avanguardie, primo fra tutti una insopportabile superbia. Non vedo contraddizione tra errori e passaggi dell’itinerario, tutte e due le cose insieme insomma.
Da statistico e uomo di scienza dichiara la sua ammirazione per l’approccio paradossale della letteratura di Gilbert K. Chesterton. Cosa hai trovato nell’autore di “Ortodossia”, “L’uomo che fu giovedì” , oltre che inventore del celebre padre Brown?
Una logica stringente e una ragione limpida, vera decostruzione (molto settantasettina oserei dire) della pomposa vanità (e sostanziale illogicità) del cosiddetto “pensiero progressista”. Una reincarnazione di san Tommaso d’Aquino, l’ultimo Padre della Chiesa travestito da dandy. Più attuale adesso di quando scriveva cento anni fa. Imprescindibile, per chi traffica ogni giorno con il metodo scientifico, l’incredibile capacità di sintesi e la consequenzialità di GKC sono una musica celestiale.
Ha fatto riferimento alla formazione ignaziana comune con Becchetti. Oggi i gesuiti sono in evidenza con l’elezione di uno di loro come papa. Eppure una certa impostazione laicista li ha raffigurati come espressione retriva e oscura del potere clericale. Cosa ha significato l’incontro con tale carisma e spiritualità?
Beh, ti potrei rispondere che mi sentivo a casa in quanto scontavamo tutti lo stesso peccato di un individualismo e un orgoglio sfrenato (la base culturale da cui parte Ignazio e da cui si depura sublimandola in tutta la storia della compagnia è quella dell’Hidalgo spagnolo fiero e orgoglioso del suo valore), e potevamo vivere personalmente la nostra “missione nel mondo” incontrandoci una volta tanto per un momento di consolazione e confronto per poi ripartire. L’essere sempre e comunque in terre ostili dava poi quel fascino aggiuntivo: nel mio immaginario i gesuiti erano quelli di “Mission” o i valorosi perseguitati orribilmente dalla regina Elisabetta I non certo il “potere clericale” (che negli anni duemila tra l’altro somiglia un po’ a lamentarsi del traffico delle carrozze).