Oltre le mura dell’azienda

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Il sogno di Pietro Tampieri, romagnolo di Lugo, era di cantare come baritono. Non per nulla, da giovane, aveva studiato lirica. Altri suoi interessi di allora, l’elettricità e la meccanica. Come mai oggi, invece, si trova a dirigere una azienda che produce e commercializza articoli per ristoranti, alberghi, gelaterie? È la Leone s.r.l., che con un fatturato superiore ai 4 miliardi e 20 dipendenti, tra cui la moglie Mariangela e tre dei cinque figli, aderisce al progetto di Economia di Comunione lanciato dai Focolari. È una bella storia, la loro: la dimostrazione di come, a volte, certe forzate rinunce ai propri progetti di vita fanno imboccare nuovi percorsi, lungo i quali si avvertono poi saziate le aspirazioni più profonde del cuore. “Avevo sette anni – esordisce Pietro, un tipico rappresentante dell’operosità romagnola – quando mio padre rilevò un reparto della fabbrica di stuzzicadenti nella quale era impiegato qui a Lugo, lanciandosi nell’avventura di un’impresa propria. La guerra era finita da qualche mese e non furono pochi gli ostacoli da superare. “Già tre anni dopo la nostra aziendina ci permetteva un certo benessere, ma lo spettro della guerra di Corea (correvano voci che poteva rimanerne coinvolta anche l’Europa) convinse papà a trasferirci in Argentina, paese dichiaratosi neutrale, dove le prospettive per far crescere i figli e sviluppare il lavoro sembravano migliori. Partimmo così nel gennaio del 1949 per Buenos Aires, con 38 cassoni contenenti le cose di casa e i macchinari. Purtroppo la realtà non corrispondeva alle nostre aspettative, per cui già alla fine di giugno eravamo di nuovo in Italia. Si ripartiva da capo. “Non avendo più casa, ricavammo una abitazione all’interno dei locali della fabbrica, il cui contratto d’affitto non era ancora scaduto. Erano tempi di grande ripresa e solo due anni dopo comprammo un terreno e vi costruimmo il laboratorio con l’alloggio al piano superiore. Nell’ufficio sotto c’era l’amministrazione ufficiale, nella credenza della cucina, sopra, quella reale. “Io avevo frequentato una scuola commerciale, per cui già da allora contribuivo all’azienda paterna. Se passava una macchina della finanza, tutti alla finestra col batticuore, nel caso si fosse fermata. E di corsa si mettevano al sicuro le carte compromettenti… “Come cristiano, mi sentivo interpellare da frasi come “Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, “Non dire falsa testimonianza”. Mi dicevo: ma sarà possibile vivere così? Sarebbe bello, se suona un finanziere, potergli dire: “Buon giorno, si accomodi! Posso offrirle un caffè?”. Oppure, all’Ufficio delle imposte dirette, discutere la denuncia dei redditi (la “Vanoni” di allora) senza il timore di cadere in contraddizione. “Questi pensieri cominciarono a turbarmi. Ne parlai con mio padre e mio fratello, che partecipava alla gestione dell’azienda pur essendo impiegato in banca. Papà mi rispondeva: “Sì, anch’io da giovane (era stato socialista) sognavo un mondo simile, ma è irrealizzabile. Te ne accorgerai quando avrai la mia età”. Per mio fratello invece era scontato che con queste mie ingenue fantasie sarei finito come i barboni. Io non replicavo: con quei sistemi entravano soldi che in fondo facevano comodo anche a me, anche se non contento”. Pietro ha da poco compiuto 21 anni, quando suo padre viene colpito da un ictus. Si riprende, ma è evidente che non potrà più portare avanti l’azienda. “Mio fratello, il più preparato a sostituirlo, preferì non lasciare il suo buon posto in banca. Io invece non me la sentii di lasciar morire la fatica di tanti anni di papà, e, pensando anche all’eventuale perdita del lavoro dei dipendenti, a malincuore rinunciai al mio sogno di una carriera artistica. Così da collaboratore divenni titolare”. Seguono anni di alti e bassi, di trasformazione delle lavorazioni e del mercato dell’azienda, gran parte del quale è diretto all’estero. Fino a quella fatidica primavera del 1966… “Ero fidanzato con Mariangela, anche lei cresciuta in una famiglia di imprenditori, quando, durante una gita in Toscana, a Loppiano, prendemmo contatto con l’esperienza di una comunità basata proprio su quel vangelo che tanto mi aveva attratto in gioventù. In quella cittadella dei Focolari vidi vissuta nella famiglia, nello studio e sul lavoro quella fraternità a cui avevo sempre aspirato. A settembre ci sposammo, con l’idea di mettere subito in pratica la scoperta fatta”. Sul lavoro però, per divergenze di vedute coi parenti, Pietro non riesce a realizzare quel suo desiderio di un’azienda che sia bene sociale e comunità di persone che si aiutano, nella concordia e nella legalità. Così, d’accordo col padre e col fratello, liquida le loro parti. “Per noi volle dire rinunciare alla casa al mare, agli altri appartamenti, e anche all’immobile nel quale aveva sede la fabbrica. Lasciammo la sicurezza economica per un’altra sicurezza: quella che ci veniva dalle parole di Gesù che stavano trasformando la nostra vita. Avevamo urgente bisogno di un locale per lavorare. Arrivò, quasi miracolosamente, e così adatto che sembrava quasi costruito apposta per noi! Era l’anno 1978”. È il capannone che ora entrambi mi fanno visitare: un pregevole esempio di architettura industriale dei primi del Novecento, in un inconsueto stile lombardo. Nei 10 anni che seguono l’azienda cresce. Il fatturato da 170 milioni passa a 2 miliardi, i dipendenti da 5 diventano 12. “In quel periodo – interviene Mariangela – abbiamo tante volte cercato di creare una condivisione che andasse oltre gli obblighi normali verso i dipendenti. Ad esempio, in un’occasione gli utili di fine anno sono stati condivisi con tutti loro. Un altra volta sono stati utilizzati per le cure mediche di un congiunto di un nostro collaboratore, con a carico una famiglia numerosa. C’è stato poi l’anno dell’aiuto al Sahel… Erano tutti tentativi di realizzare quella spinta ad andare verso gli altri, che avvertivamo dentro”. La risposta clamorosa a queste esigenze dei Tampieri arriva nel 1991, quando dal Brasile viene lanciato il progetto noto come Economia di Comunione: ecco come impiegare gli utili e realizzare quel desiderio di socialità che andava anche oltre le mura dell’azienda! “Era un modello – commenta Pietro – che al di là delle nostre semplici forze univa anche tanti altri, nel mondo. Veramente una solidarietà planetaria. “Per esigenze commerciali, avevamo creato una seconda azienda: l’EdC fu l’incentivo a fonderle in un’unica società di capitali, proprio perché ci sembrò la forma più adatta per distinguere gli stipendi nostri (cioè di noi della famiglia) da quello che era l’utile aziendale, e così ordinare maggiormente la gestione”. Cos’è per i Tampieri partecipare a questo progetto? “Innanzitutto – dicono – uno stimolo a curare i rapporti interni, tra i soci, che sono i nostrifigli, e tra tutti i dipendenti. Quando c’è qualche tensione, allora ci fermiamo e affrontiamo il problema tutti insieme, affinché ritorni l’armonia. Non sempre ci si riesce, ma sempre si ricomincia”. Un esempio rende meglio lo “stile Tampieri”. “Dopo l’estate del ’99 – spiega Pietro – c’era stata una flessione del turismo e si profilava duro, per quell’anno, arrivare al pareggio. Un giorno ero nel mio ufficio con Gabriella, che è bravissima nei tagli e soprattutto a trovare risorse nei momenti difficili. Da un’ora cercavamo inutilmente una soluzione al problema, quando ha chiesto di me la Teresa: una nomade, che capita da noi proprio quando non sa più dove andare. “Dirle che avevo fretta perché dovevo concludere una cosa molto importante? Ma lei aveva troppo bisogno di essere ascoltata. Sua figlia in seguito a un incidente d’auto era rimasta zoppa, e per di più aveva dovuto spendere 14 milioni per curare il marito esaurito: per fortuna c’erano quei 18 milioni di indennizzo. “Ad un certo punto Teresa è stata attratta da dei fiori di seta che noi commercializziamo. L’indomani voleva portare dei fiori al cimitero, dov’era sepolta un’altra sua figlia, “ma – diceva – li vorrei rossi”. L’avevo un campione rosso, ma era chissà dove in magazzino. Stavo per dirle di no ma non potevo: in Teresa c’era Lui, e “qualsiasi cosa avrete fatto…. date e vi sarà dato”. Sì, tutto cozzava col raziocinio, ma che importava? Giorni dopo arrivano due coniugi titolari di una ditta estera, interessati alla nostra produzione. Là per là ci son venute in mente le esperienze negative fatte con tre ditte d’Oltralpe, una delle quali ci aveva truffato diversi milioni, la più grossa perdita della nostra vita. “E invece no! Li abbiamo accolti, portati in un ristorante e trascorso tutto il pomeriggio insieme a mostrare la produzione, a fornire i campioni di loro interesse… Non solo, ci siamo premurati di prenotare per loro un albergo a Venezia; e tutto mentre dentro una voce mi diceva “sarà come le altre volte” e un’altra voce “quello che vorreste gli altri facessero a voi, anche voi fatelo a loro”. “Stavano per congedarsi quando la moglie si rivolge al marito: “Perché aspettare il ritorno a casa? Facciamogli l’ordine subito”. Era di molto superiore al buco ed era per pagamento in contanti. Ho pensato allora al tempo “perso” con Teresa…”.

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