Oltre la superficie

Obama ha detto che la marea nera nel Golfo del Messico è un nuovo 11 settembre, qualcosa che cambia la vita di tutti. E ci chiama a tradurre in fatti i buoni propositi.
inquinamento petrolio

La perdita di greggio avrà delle conseguenze notevoli non solo sull’ecosistema circostante, ma anche su chi vive molto lontano dalla costa. È importante tenere a mente questa realtà non tanto come un triste promemoria, ma soprattutto come un richiamo urgente a fare il punto sul futuro del nostro pianeta e iniziare a vedere le cose in maniera diversa.

 

È facile dare la colpa alle compagnie petrolifere, o a chi avrebbe dovuto vigilare sulla loro attività; è invece molto più difficile andare in profondità sulla nostra dipendenza dai combustibili fossili. Poche settimane prima del disastro, alcuni ricercatori riuniti in un’università americana si erano chiesti come comunicare al grande pubblico i risultati dei loro lavori sugli effetti dell’inquinamento, così da avere realmente un impatto sulla vita e sulle abitudini della gente. Il giornalista Andrew Revkin, nel suo blog Dot Earth, ha presentato un sito su cui i navigatori possono sovrapporre virtualmente la chiazza di petrolio sulla loro città o regione, per rendersi conto della sua grandezza. Revkin sottolinea inoltre il suo impegno «a far sì che l’informazione faccia davvero la differenza, in un mondo in cui ce n’è anche troppa». Questa è forse la sfida più grande: possiamo limitarci alla superficie, oppure fermarci per un momento, cercare di capire il significato della catastrofe che ci sta davanti e agire di conseguenza.

 

Lo scrittore e filosofo svedese Jostein Gaarder, in un suo intervento al festival letterario internazionale 2010 PEN World Voices, ha sottolineato la “dimensione verticale” della regola d’oro: «Fate alla generazione che vi segue ciò che vorreste avesse fatto a voi quella che vi ha preceduti. Chi viene dopo di noi è nostro fratello, e non abbiamo alcun diritto di lasciare in eredità un pianeta che ha meno valore di quello che abbiamo ricevuto e sui cui abbiamo avuto la grande opportunità di vivere». Uno studioso di etica, durante una recente conferenza all’università di Yale, ha affermato che «mai prima d’ora all’umanità è stato chiesto di intraprendere un progetto così vasto e di lungo termine sul piano ambientale, che richiede grossi sacrifici e i cui effetti positivi non si vedranno per anni». Il tempo sta scadendo, e bisogna passare dalle parole agli stili di vita.

 

Questi pensieri mi tormentavano mentre, per puro caso, assistevo alla presentazione del “dado dell’amore” ad alcuni dirigenti scolastici. Inventato da Chiara Lubich per aiutare i bambini a mettere in pratica il Vangelo nella vita di ogni giorno, il dado viene lanciato ogni mattina per scegliere la frase del giorno: amare il nemico, amare il prossimo come sé stessi, e così via. Gli insegnanti che lo presentavano sottolineavano spesso l’immediatezza con cui i bambini memorizzano la frase e la mettono in pratica, così che le relazioni tra alunni, all’interno delle singole classi, fino a intere scuole e alle famiglie degli studenti migliorano notevolmente di conseguenza. «Il dado – spiegava una delle insegnanti – non è solo il punto di partenza per la giornata, ma anche la base per le lezioni di studi sociali: ci ricorda che siamo fratelli e sorelle in tutto il mondo. I bambini imparano così che è possibile essere protagonisti di una nuova cultura, basata sul dare e non sull’avere».

 

Quando studiavo all’università, piena di idealismo e di buoni propositi di lavorare su temi ambientali, mi ero presto resa conto che da sola non avrei mai potuto cambiare il mondo. La spiritualità di comunione mi ha fatto prendere coscienza che nel Vangelo vissuto c’è la risposta non solo all’odio e alla violenza, ma anche alla povertà e alla distruzione del pianeta. «La mia speranza – ha concluso una delle insegnanti – è che l’esperienza che facciamo in classe li aiuti, un giorno, a contribuire alla costruzione di un mondo migliore».

 

Ho riflettuto a lungo sul dado. Un seme che, come il granello di senape della parabola evangelica, mi pare potentissimo. È la risposta alla sfida di passare dalle parole ai fatti, dalle idee alle azioni concrete, al mettere insieme i pezzi di questo puzzle: un mondo in cui interagiamo gli uni con gli altri, dalle creature che lo abitano alle sue risorse naturali. Chiediamo il coraggio di mettere in pratica queste parole, di fare la nostra parte per costruire insieme un mondo migliore.

 

(da Living City – trad. di Chiara Andreola)

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