Oltre la solitudine della disabilità
Dal rapporto Censis, l'impegno e le difficoltà delle famiglie con figli Down o persone affette dal morbo di Parkinson
Continua l’analisi della ricerca di Censis e Fondazione Cesare Serono sulla centralità della persona e della famiglia. Proprio i nuclei familiari colmano, anche se a costo di enormi sacrifici e difficoltà, i vuoti lasciati dalle istituzioni pubbliche.
Famiglie e figli Down
Venendo in alcuni dettagli della ricerca Censis, e focalizzando l’attenzione sulle persone con sindrome di Down e con il Parkinson, oggetto della ricerca, emerge che il 53 per cento delle famiglie ha dovuto agire autonomamente per trovare un buon livello di riabilitazione e il 40 per cento si è rivolto a strutture private a pagamento a causa della carenza dei servizi pubblici. La lunghezza delle liste d’attesa è un problema lamentato nel 32 per cento dei casi. Nel Mezzogiorno si rileva la distanza media maggiore tra l’abitazione e lo studio del medico di riferimento: 54,5 km contro i 22 km indicati mediamente nelle regioni del Centro e i 17,2 km del Nord.
Note positive vengono dall’educazione: quasi tutti i bambini e i ragazzi Down vanno a scuola (il 97 per cento fino ai 14 anni), ma quando crescono diventa sempre più difficile trovare una collocazione sociale: un adulto su quattro sta a casa e non svolge alcuna attività. Il giudizio delle famiglie sulla qualità delle scuole frequentate dai figli è generalmente positivo, mentre qualche carenza si è registrata nella preparazione degli insegnanti, sia di sostegno (43 per cento), sia ordinari (39).
Come per tutte le disabilità, l’attenzione delle istituzioni pubbliche è maggiormente riservata ai bambini. Ma sappiamo che per le persone Down con il trascorrere degli anni la loro disabilità diventa più vincolante in termini di autonomia e qualità della vita, spesso accompagnate da patologie fisiche anche serie. La permanenza in famiglia è infatti la prospettiva per il futuro indicata nel 50 per cento dei casi per le persone con più di 24 anni.
Famiglie e malati di Parkinson
Specialmente per i pazienti più anziani, la gestione della terapia farmacologica rappresenta una notevole incombenza. Nonostante i progressi scientifici compiuti in campo farmacologico, la necessità di prendere molti farmaci è uno degli aspetti più problematici nella vita quotidiana dei pazienti. In media, devono assumerli 7,1 volte al giorno. Il 49 per cento dei pazienti ha bisogno di farsi aiutare da qualcuno per ricordare di prendere i farmaci negli orari giusti, a uno su quattro succede almeno due volte alla settimana di perdere il conto delle somministrazioni giornaliere e a uno su cinque capita di perderne del tutto.
Complessivamente, il 73 per cento circa dei pazienti parkinsoniani ha bisogno di un aiuto nella vita quotidiana. Nel 58 per cento dei casi, l’aiuto principale è un parente che vive con il paziente (coniugi e figli), nel 10 per cento la badante. Ma il 27 per cento non può contare su nessun aiuto: un dato che evidenzia il dramma della solitudine, più comune di quanto si pensi di fronte ad una malattia o disabilità. Il 73 per cento del campione di malati di Parkinson afferma che la malattia ha modificato la propria vita sociale e si sente isolato, il 57 per cento lamenta che la malattia lo fa sentire inutile, il 13 addirittura che a causa della malattia il suo nucleo familiare si è disgregato.
Ma nonostante questa sostanziale presenza, la disabilità e la non autosufficienza sono «ancora una questione invisibile nell’agenda istituzionale». Occorre ribadire che la centralità della persona e della famiglia sono il fondamento del nostro sistema, ma le istituzioni devono rilanciare il proprio ruolo di supporto solidale.