Oltre la Sars
Se c’è un nemico che fa più paura di un altro è quello che ti colpisce senza lasciarti possibilità di difesa. Nemico invisibile è stata definita la Sars (Severe acute respiratory syndrome) perché, ancora, non si sa da dove arriva e soprattutto come si evita. Ed è stato subito panico mondiale. “Meno male” – sembra di sentir dire da qualche giornalista – che l’abituale “riservatezza” cinese, forse per non provocare panico con conseguenze disastrose in quell’immenso paese, ci ha informato solo qualche mese dopo dell’esistenza sulla Terra di questo abitante sconosciuto. Sarebbe stato oltretutto difficile contendersi l’audience con la guerra in Iraq. Ma finita (si fa per dire) quella, i mezzi di informazione hanno trovato subito pasto per i loro denti per voltare rapidamente pagina. Certo non è stata di questo parere l’Oms (Organizzazione mondiale della sanità), che ha denunciato questo grave ritardo. E così terrorismo e bio-terrorismo hanno dovuto convivere con la minaccia biologica naturale. Se prima era solo la barba a poter nascondere un kamikaze, adesso sono gli occhi a mandorla ad identificare possibili portatori di virus. Non è difficile immaginare gli eccessi della fantasia popolare che vede bacilli propagarsi ovunque in presenza di una persona asiatica (per noi occidentali sono spesso tutti uguali). Sull’autobus ad esempio è frequente incrociare sguardi sospettosi di fronte a passeggeri di razza gialla. E negli aeroporti, poi” Anche perché una linea di demarcazione netta fra prudenza ed esagerazione è quasi impossibile tracciarla. Tanto dipende anche dal carattere di ciascuno più o meno incline agli allarmismi. E quello che può sembrare ridicolo o quantomeno eccessivo a qualcuno può risultare contemporaneamente il minimo da farsi per qualcun altro. L’umanità è varia! D’altra parte la gara al rialzo delle notizie è sempre lì in agguato, accattivante per tanti giornalisti, invitante per tanto pubblico. Anche qui, la chiarezza è quasi una virtù rara. Ci hanno pensato le istituzioni preposte ad abbassare la soglia degli allarmismi pur mantenendo ad un certo livello l’allarme. Che non va certamente sottovalutato. Oms, Istituto superiore della sanità (Iss in Italia), ministri dei vari paesi hanno dovuto affrontare l’emergenza che è prima di tutto sanitaria anche se non può non coinvolgere politica ed economia. Non dimentichiamo, tra l’altro, che ben peggiori flagelli affliggono l’umanità anche se non fanno notizia pur continuando a mietere milioni di vittime. Chi parla ad esempio del milione di morti l’anno per malaria, dei seicentomila deceduti per febbre tifoidea, dei trentamila bambini che ogni giorno nel mondo muoiono per malattie “banali” (per noi), evitabili con vaccinazioni che esistono? E che fine ha fatto la peste bubbonica in India o ebola in Africa? Anche la Sars ci dice, purtroppo, che ci sono più mondi in questo mondo. E se quest’epidemia ci preoccupa a dispetto di altre ben più gravi, il motivo non è difficile da intuire: è una malattia del mondo ricco, che non risparmia neanche quelli che viaggiano in prima classe. Anzi, sarebbero proprio loro tra i più esposti, abituati come sono a spostarsi da un capo all’altro del pianeta. E sappiamo bene quanti rapporti commerciali la Cina mantiene coi paesi industrializzati (oltre a fornire tanta manovalanza a basso prezzo). Un altro dato occorre ricordare. Quello della polmonite atipica non è, sul piano statistico, un virus più pericoloso di quello dell’influenza la quale registra in genere da 5 a 6 milioni di casi gravi con un numero di morti che va da 250 mila a 500 mila l’anno. Allarme dunque, non allarmismo. Ma in attesa di notizie la cui attendibilità varia al variare del virus stesso, la comunità internazionale qualche decisione, come abbiamo visto, l’ha già presa. L’Europa, dietro spinta dell’Italia, ha fatto il timido tentativo di varare un piano comune, ma il risultato raggiunto è ancora modesto. Il vertice dei “Quindici” ha stabilito due provvedimenti: la schedatura per chi arriva dai paesi colpiti e controlli medici solo prima del rientro in patria. Il periodo lungo dell’incubazione della malattia renderebbe infatti vano, secondo alcuni, il rilievo della temperatura all’arrivo in Europa. Per maggior sicurezza, il nostro ministro della sanità Sirchia ha insistito sulla necessità dei controlli anche in entrata. È per questo che l’Italia, con una deroga al trattato di Schengen sulla libera circolazione dei cittadini, ha deciso di sottoporre a controlli i passeggeri asiatici anche se hanno già fatto scalo in un altro paese dell’Unione. E mentre si profila per l’autunno una vaccinazione antinfluenzale più estesa alla popolazione italiana che dovrebbe permettere di distinguere l’influenza da una eventuale Sars, i nostri 50 mila medici di famiglia hanno attivato il progetto “Italian health shield” (Scudo italiano per la salute): una rete di medici volontari adeguatamente preparati per l’emergenza. Possono essere contattati al numero verde 800.697.576, tramite sms al numero 335.1386213 o all’indirizzo e-mail ihs@fimmg.org. Intanto c’è da augurarsi che la concorrenza tra laboratori (che affare il brevetto su test e cure contro la Sars!) ceda il posto alla collaborazione internazionale. REPORTAGE DALLA CINA Convivere con il virus Undici miliardi di dollari, i costi della Sars previsti dall’Oms nella sola Asia. Una stangata economica che potrebbe frenare del 20 per cento la crescita prevista con conseguenze disastrose soprattutto per i ceti sociali più bassi. Come si reagisce al panico, all’isolamento, allo sconforto. Lo abbiamo chiesto a due nostri colleghi che abitano nei paesi maggiormente colpiti dalla Sars. Ecco il racconto di Francis Yan e Ting Nolasco. Shanghai. “Già all’aereoporto ho assistito alle drastiche misure di sicurezza per tutti quelli che arrivano da fuori, in particolare dai posti contaminati. Anch’io, provenendo da Hong Kong, ho dovuto passare quattro controlli misurando la temperatura, riferire al dipartimento della sanità del quartiere del mio arrivo assicurandoli che rimango a casa: una specie di auto-quarantena come tutti gli altri che vengono da fuori. Apprezzo come tutti qui prendono sul serio la battaglia contro la malattia”. Cambiato lo stile di vita del popolo “L’inaspettata polmonite atipica ha certamente capovolto il ritmo della vita normale. Ma ha anche dato l’occasione per sperimentare il calore dell’aiuto reciproco. Oltre ad una somma ingente arrivata da alcuni amici di Hong Kong per aiutare quelli che ne vengono colpiti, le infermiere ricevono diecine di migliaia di cartoline di ringraziamento e tantissimi messaggi di apprezzamento attraverso internet. Tanti sono i medici e gli infermieri contenti di essere in prima linea nella Mongolia interna, nello Shanxi e in altre province a rischio. “Per la festa dei lavoratori del Primo Maggio, invece di fare grandi viaggi, il 70 per cento dei cantonesi intervistati dicono di essere rimasti a casa con grande vantaggio della comunicazione in famiglia. Gli appuntamenti tra i fidanzati non si svolgono più al ristorante, al cinema o in discoteca ma nei parchi o nella campagna per una passeggiata: tutte occasioni di maggiore colloquio e comprensione. La Sars andrà via prima o poi, ma intanto si è sperimentato uno stile di vita diverso”. Un momento di trasformazione “È un momento di grande trasformazione in Cina verso una maggiore apertura e trasparenza. L’epidemia ha dato alla nuova generazione dei dirigenti l’occasione di esigere nel lavoro mentalità e stile diversi. Nel mese scorso più di 120 funzionari del governo centrale e provinciale di oltre metà delle province del paese sono stati puniti per trascuratezza e negligenza di fronte a questa calamità tra cui il ministro della Sanità Zhang Wen Kang e il sindaco di Pechino Meng Xue Nong. Parlando con i miei amici di Pechino, ho capito che tutti sono contenti dei passi in avanti della riforma accelerata e procurata dalla Sars e accettano volentieri un rallentamento nello sviluppo economico che favorisca uno sviluppo culturale e spirituale. Anche la Sars può dunque accelerare il tempo in Cina perché i dirigenti diventino sempre più trasparenti e il popolo diventi più responsabile dell’igiene e dell’ambiente”. Quel virus ospite inatteso Hong Kong. “Alla fine dell’anno 2002, le notizie inquietanti dalla provincia di Guangdong in Cina, su un “virus misterioso” che stava infettando centinaia di persone aveva causato scarsa reazione nella gente. In tanti hanno fatto una bella risata guardando il telegiornale e vedendo gli scaffali dei supermercati in Cina svuotati dell’aceto che secondo l’opinione popolare faceva morire il virus. Finché un giorno, qualche mese dopo, ci siamo “svegliati” con la notizia che il virus aveva varcato il confine, era arrivato ad Hong Kong e stava già facendo un rapido giro “turistico” in tutto il territorio”. Proteggersi e aiutarsi “Da un giorno all’altro la necessità di proteggersi contro l’infezione procurandosi le maschere è diventata l’attività primaria di tutta la popolazione. Era difficile evitare il senso di panico che assaliva tutti soprattutto per il fatto che il governo aveva tardato ad informare il pubblico sulla gravità della situazione e ad attivare subito misure di sicurezza per evitare il dilagare della malattia. Ma un’altra cosa non avremmo immaginato: che una “catastrofe” simile avrebbe provocato una valanga di atti di solidarietà e di aiuto reciproco fra la popolazione di Hong Kong abituata a vivere per sé stessa, badando solo alla propria famiglia, ai propri affari e a fare soldi. “Tante mie amiche della comunità cristiana si sono subito messe a disposizione via Internet per procurare le maschere a chi ne aveva bisogno sentendo come non mai la necessità, soprattutto in questo momento, della testimonianza di amore concreto e di speranza che noi cristiani potevamo dare a tanti intorno a noi che continuavano a chiedersi il perché di una tale “disgrazia”. Negli uffici poi, fra colleghi, i rapporti stanno cambiando: si vive un’apertura maggiore verso gli altri, si intrecciano discorsi più profondi. “Una donna, capo del personale di una grande ditta ha “combattuto” perché i dirigenti dell’azienda dessero subito “la vacanza pagata” ad alcune impiegate incinte per diminuire la possibilità che potessero essere contagiate dal virus e per proteggere la vita dei bimbi che portavano in grembo”. Fermarsi e riflettere “La vita della popolazione ha anche subìto un grande cambiamento. Sembra proprio che questa epidemia sia servita a dare agli abitanti di Hong Kong il tempo di fermarsi a riflettere sulla loro esistenza. Infatti, quasi tutta la vita notturna della città si è fermata. Si rinuncia ad andare nei ristoranti, bar, cinema, karaoke, sala video-giochi ecc” per evitare le folle e il contagio. Questo ha fatto sì che, forse per la prima volta, in tante famiglie il papà e la mamma fossero a casa presto ed i ragazzi pure! I figli che lavoravano spesso fino a tardi tornano a casa presto a far compagnia ai genitori anziani e così via. Nei week-end si vedono famiglie intere fare gite all’aria aperta. Tanti rapporti in famiglia, prima difficili, sono migliorati solo perché c’è finalmente il tempo di guardarsi in faccia”. Per non morire da soli “Ma chi muore di Sars, muore da solo. Nessuno dei suoi cari può essergli vicino perché è in isolamento totale fino alla fine. Quando abbiamo saputo che lo zio di una nostra amica stava per morire, abbiamo fatto di tutto per trovare qualcuno che lavorando in quell’ospedale potesse avere accesso alla stanza di isolamento, almeno per potergli dare un sostegno nei suoi ultimi momenti. Dopo varie ricerche siamo riuscite a trovare un’infermiera che con tanto amore ha potuto seguire lo zio finché è spirato qualche giorno dopo. Ha potuto portargli anche un messaggio della moglie che era ricoverata in un altro reparto dello stesso ospedale ma non poteva avvicinarsi a suo marito. Questi piccoli gesti di amore toccano il cuore e qui si è visto che il meglio dell’uomo viene fuori soprattutto in queste circostanze più dolorose”.