Oltre la muta che ringhia
C’è qualcosa di animalesco, dispiace dirlo, in tante italiche concentrazioni.
Mi sono assentato in agosto dall’Italia. Fisicamente e psicologicamente. Fa bene. Ho ridotto l’intensità della quotidiana immersione nei media, privilegiando tra l’altro quelli stranieri. Anche questo mi è stato utile. Ma, tornato in patria, mi sono giocoforza immerso di nuovo nel tritacarne delle notizie nostrane. Qualcosa mi ha colpito non poco: l’infiammabilità dell’emotività di noi italiani. Qualche esempio tra i mille possibili? Le rumorose contestazioni dei “grillini” contro il presidente del Senato Schifani a Torino; la violenta protesta in un quartiere livornese contro due rumeni accusati di condotta asociale; le scoordinate proteste di un gruppo di consumatori di un supermercato lucano che aveva messo in vendita mozzarelle scadute…
M’è tornata in mente una ricca lettura estiva: Canetti, Massa e potere. Un centinaio di pagine di questo volume straordinario (che indaga sul potere della massa e sulla massa del potere) è dedicato alla formazione della “muta”, che lo scrittore bulgaro indica alla base di ogni massa, o quasi. La muta, cioè quell’aggregazione il più delle volte estemporanea composta da animali (ma anche da uomini) che hanno uno scopo immediato, emotivo e che si pretende definitivo, ma che si scompongono non appena l’obiettivo è stato raggiunto o una muta più forte s’è messa di traverso. Ebbene, gli scomposti modi di aggregazioni spontanee e immediate che ho elencato hanno i caratteri della muta.
C’è qualcosa di animalesco, dispiace dirlo, in tante italiche concentrazioni. È questo un effetto della conflittualità endemica della società capitalistica che non sa frenare le proprie pulsioni e convulsioni, ma c’è pure qualcosa di tipicamente italiano: la facilità a cedere (e a credere) ai tribuni.
Antidoti? Ce ne sono. Li si trovano non tanto nei manuali di polizia, quanto nelle più antiche tradizioni religiose e filosofiche. L’esempio del Cristo – il Vangelo ci racconta delle tante “mute” scatenatesi contro di lui – è il più significativo in questo senso: egli ha dato l’esempio della più totale mitezza, della “superiorità” della carità che trasforma e non della violenza che apparentemente rassicura.
Ma anche nella nostra politica ci sono antidoti al riguardo. Un commento del presidente Napolitano all’indomani della contestazione a Schifani fa pensare: «È un segno dell’allarmante degenerazione che caratterizza i comportamenti di gruppi sia pur minoritari incapaci di rispettare il principio del libero e democratico confronto e di riconoscere nel Parlamento e nella stessa magistratura le istituzioni a cui è affidata nel sistema democratico ogni chiarificazione e ricerca di verità».
Esempi da noi imitabili, come persone fornite di ragione e come cittadini, tanto più se non si vuole soccombere alla logica della muta. Ma bisogna volerlo: ascoltando il diverso da sé, ridando vita alla generosità e all’attenzione che albergano in noi, anche prendendoci le nostre piccole-grandi responsabilità di “pastori” che proteggono il proprio gregge dall’assalto delle mute ringhiose che sbucano all’improvviso.