Olimpiadi: fatica e passione

Cinque podi per la rappresentativa italiana nella tredicesima giornata dei Giochi di Tokyo 2020. Le medaglie arrivano da discipline che solitamente godono di poca visibilità mediatica, dove chi vi partecipa lo fa essenzialmente per pura passione.
Massimo Stano, Viviana Bottaro e Manfredi Rizza

Per arrivare a vincere una medaglia olimpica, l’impegno che ci mettono gli atleti è più o meno sempre lo stesso in ogni disciplina. Per eccellere, ci vogliono anni di sacrifici, di rinunce, tanto allenamento e tanta passione. Purtroppo però, ci sono poi medaglie e medaglie. In diversi sport, raggiungendo il podio a cinque cerchi fama e celebrità sono assicurate per lungo tempo. Da oggi, ad esempio, quale italiano, anche non appassionato di sport, non saprà riconoscere Gianmarco Tamberi o Marcell Jacobs, i nostri due campioni che domenica hanno scritto una delle pagine più gloriose nella storia dello sport del nostro Paese vincendo l’oro a distanza di pochi minuti nel salto in alto e nei 100 metri? Altri atleti che in questi giorni ci stanno regalando emozioni e medaglie, invece, si dimenticheranno piuttosto in fretta. Questo perché alcuni sport hanno pochi sponsor, pochissimi passaggi televisivi e quindi un numero di praticanti piuttosto limitato. D’altronde, se non se ne parla mai, come si fa ad appassionarsi a questa o quella disciplina?

La giornata appena terminata di Tokyo 2020, la tredicesima delle sedici in programma, ha ulteriormente arricchito il bottino azzurro di queste Olimpiadi. Adesso siamo a quota trentacinque, ad un passo dal record di medaglie mai ottenuto da una spedizione italiana ai Giochi estivi, ovvero le trentasei che i nostri atleti hanno vinto a Los Angeles nel 1932 e a Roma nel 1960. In un solo giorno sono stati ben cinque i podi tricolore, tutti ottenuti in discipline che godono normalmente di poca visibilità mediatica. Parliamo del nuoto di fondo, certamente la specialità più faticosa del programma natatorio a cinque cerchi. Parliamo della canoa velocità, della marcia e del ciclismo su pista, sport che, Olimpiadi a parte, godono di pochissimi passaggi televisivi o di articoli sulla stampa. E parliamo del karate, una di quelle discipline che solo da quest’anno sono entrate a far parte del programma a cinque cerchi, e che è già stato escluso dalle prossime Olimpiadi di Parigi del 2024.

L’oro, il settimo oro italiano di questa spedizione olimpica, ce lo ha regalato uno specialista del “tacco e punta”, quella marcia che, sportivamente parlando, può essere considerata come l’anello di congiunzione tra il camminare ed il correre. Una disciplina che richiede un grandissimo sforzo durante gli allenamenti, con carichi settimanali che, per portare a raggiungere risultati importanti a livello internazionale, possono arrivare anche a centinaia di chilometri. Grandissimo sforzo, ma poca gloria (e con essa anche pochi compensi) per gli atleti migliori al mondo. Massimo Stano, cresciuto a Palo del Colle in provincia di Bari, nella prova maschile dei 20 chilometri disputata sotto il sole cocente di Sapporo, ha disputato una gara bellissima, condotta con grande sapienza tattica, e sul traguardo ha preceduto i marciatori giapponesi, spagnoli e cinesi, ovvero i grandi favoriti della vigilia. Centrando, a ventinove anni, una vittoria che lo ripaga del tanto lavoro “silenzioso” fatto sin da quando quindici anni fa ha scelto di praticare questo sport.

L’argento di giornata, il decimo per l’Italia a questi Giochi, lo ha conquistato invece Manfredi Rizza. Il suo sport è la canoa di velocità, affascinante disciplina che, come la marcia, purtroppo gode di poca visibilità mediatica, e che il ventinovenne di Pavia pratica da quando aveva solo nove anni. Praticamente, la canoa la si vede in diretta tv solo ai Giochi e (non sempre) in occasione dei campionati del mondo. Già sesto ai Giochi di Rio, dopo un anno “sabbatico” in cui ha voluto concentrarsi sugli studi di ingegneria meccanica (con laurea magistrale in nanotecnologie), Manfredi ha ottenuto il pass olimpico durante i mondiali del 2019, quando si piazzò al quinto posto. A Tokyo ha saputo fare ancora meglio, battuto al termine di una volata terminata al photofinish solo dall’ungherese Sandor Tokta, riportando così l’Italia sul podio olimpico che in questo sport, a livello individuale, ci mancava dal 1996.

E se la canoa in tv la si vede poco, non parliamo poi del karate, una disciplina che, per chi la pratica, è anche una “filosofia di vita”, e in cui l’Italia è tra le nazioni di riferimento a livello internazionale. Diffuso in Giappone agli inizi degli anni ’20, il karate trae le sue origini da antiche arti marziali di origine cinese. Arrivato in Occidente negli anni ’60, si è poi gradualmente trasformato da disciplina di difesa in un vero sport agonistico che, per la prima volta, è entrato per questa edizione nel programma di una Olimpiade estiva. A Tokyo verranno assegnate otto medaglie d’oro, in due diverse specialità: il kumite, un combattimento “reale” in cui due rivali si sfidano sul tatami, e il kata, uno “scontro simulato” in cui gli atleti davanti ad una giuria simulano le forme tipiche del combattimento (parate, schivate e attacchi con braccia e gambe).

Ed è proprio nel kata femminile che Viviana Bottaro, trentatreenne genovese già terza ai mondiali nel 2018, ha vinto la medaglia di bronzo. Il karate per questa ragazza è tutto: è emozione, è pura magia. Lei che lo pratica sin da quando aveva sei anni, sa che non si tratta solo di un’attività agonistica, ma di uno sport in cui corpo e mente collaborano per conseguire un obiettivo. Attraverso la pratica del karate, infatti, tanti bambini e bambine, ragazzi e ragazze, allenano anche la loro “parte interiore”, trovando nel contempo un valido mezzo di socializzazione che contribuisce allo sviluppo della loro personalità. Perché questo sport non fa solo progredire fisicamente chi lo pratica, ma fa migliorare anche emotivamente e spiritualmente. Ecco che allora vincere una medaglia olimpica per un karateka è importante, certo, è la realizzazione di un sogno. Ma non è tutto.

Si, lo sport è e rimarrà sempre, in primo luogo, una sfida con sé stessi. Non dimentichiamoci mai, infatti, che questi ragazzi e ragazze che vediamo impegnati in questi giorni alle Olimpiadi sono soprattutto persone, ancor prima che atleti, e che i benefici economici e di popolarità che possono derivare dall’arrivare al vertice della propria disciplina, non sono tutto, non li ripaga di tutto. Prendete ad esempio due “campionissimi” come Gregorio Paltrinieri e Elia Viviani. I loro sport, rispettivamente nuoto e ciclismo su strada, sono tra quelli più seguiti dal pubblico, ed i successi ottenuti in queste discipline hanno regalato loro prime pagine e anche importanti riconoscimenti economici. Eppure, Gregorio ed Elia hanno esplorato anche “altre vie”, altre specialità per sentirsi davvero appagati.

Paltrinieri, dopo aver vinto tutto quello che c’era da vincere in piscina nel suo amato “stile libero”, per questa Olimpiade ha deciso di mettersi in gioco anche nel fondo. Una scelta criticata da diversi addetti ai lavori, ma che il nostro Greg ha fatto per pura passione. «Il fondo ti da un senso di libertà che in questo momento della mia vita preferisco alla piscina», ha spiegato il nostro campione. Viviani, sprinter che di successi per le strade del mondo ne ha collezionati tantissimi, trova invece la sua “vena migliore” praticando ciclismo su pista, disciplina che è solo una piccola appendice (in termini di popolarità) del ciclismo su strada. Entrambi oggi a Tokyo hanno vinto una medaglia di bronzo, Gregorio nella 10 chilometri di fondo, Elia nell’Omnium (una competizione composta di quattro differenti prove la cui classifica finale viene stilata in base ai punti ottenuti dai ciclisti in ciascuna prova).

Sembrerà strano, ma è proprio così. A rendere veramente felice uno sportivo non sono solo i titoli di giornale, la fama e i soldi. Come ci dimostrano Massimo Stano, Manfredi Rizza e Viviana Bottaro, a coloro che praticano dello sport per essere davvero felici magari basta “semplicemente” dare tutto il meglio di sé stessi. E poco importa se le loro discipline non godono di grande visibilità, poco importa se passata la “sbornia olimpica” saranno in tanti a scordarsi di loro. Lo stesso messaggio, seppur in maniera differente, ci arriva però anche da Gregorio Paltrinieri ed Elia Viviani che, in una dimensione mediatica decisamente “più sfumata” rispetto al can can che accompagna i loro sport “tradizionali”, riescono a trovare ancor più gioia e soddisfazione. Se poi si vince una medaglia olimpica, come hanno fatto tutti loro oggi, la felicità è ancora più grande.

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