Oh tu che passi…

La ricordate la scena? Peppone dà l’avvio ai lavori per la costruzione della casa popolare. Ma gli scavi si bloccano di fronte all’edicola (o alla maestà, come si chiama da quelle parti) della Madonna del Borghetto, alla quale – chi per devozione, chi per rispetto – sono legati tutti gli abitanti di Brescello. Don Camillo arringa la folla chiedendo che dei sedici appartamenti della casa popolare, metà vadano a famiglie proposte dal comune e metà a quelle proposte dalla parrocchia. Peppone, a denti stretti, accetta. Non resta che abbattere la maestà. Ma chi ha il coraggio di farlo? È ovvio, tocca a Peppone. Che si toglie la giacca, impugna il piccone e sta per fendere con decisione il primo colpo, quando… incontra lo sguardo della Madonnina e si blocca. Noi non vi abbiamo mai chiamati per buttar giù le statue di Stalin e di Lenin!, bofonchia al parroco. Don Camillo non perde l’occasione: Ma se ci aveste chiamati, saremmo venuti! , risponde con un malizioso sorrisetto. La fine della cappellina pare segnata. Un camionista lega un cavo attorno al muro e lo aggancia al camion. Una vecchietta interviene mettendosi a pregare con fervore davanti alla Madonna. Peppone la sposta di forza, il camion accelera ma, come per miracolo, il cavo si spezza. I presenti s’inginocchiano. Pure i comunisti più tenaci si levano il cappello, qualcuno addirittura si fa il segno della croce. Anche Peppone a malincuore, ma con un certo intimo sollievo, si toglie il cappello. La maestà è salva. Ed esiste ancora, ben restaurata, all’incrocio della statale 62. Chi si reca a Brescello a visitare i luoghi del grande scrittore Guareschi, la può vedere. Già… una volta c’erano le edicole sacre. S’ergevano nelle campagne, ai margini dei campi, degli orti, delle rive dei boschetti; lungo le strade che collegavano i villaggi, ai bivi e agli incroci; s’alzavano sui sentieri rocciosi e sulle vette innevate delle montagne. Erano testimonianze di fede, e servivano pure da riferimento o segnavia. A chi vive in campagna sono ancora ben note e molto care, ma chi sta in città le ha quasi scordate. La co- struzione di ampie strade e di rotonde ha dato una gran mazzata a quegli edifici d’un epoca passata. Nei tempi medioevali, le edicole sacre, lungo le stradine e negli incroci più bui dei borghi, servivano a rischiarare la notte con i loro tenui lumini, e a proteggere i viandanti dai pericoli e dagli agguati. In epoca non troppo lontana facevano compagnia alle donne che s’incamminavano a piedi, con cesti di vimini carichi d’uova e d’ortaggi, per venderli al mercato. Passando per questa via, ti saluto o Madre mia, pregavano incontrandole. Chi doveva fare un viaggio di diverse ore, magari per andare in città, nelle edicole sacre trovava incoraggiamento e conforto: si fermava un attimo per fare il segno della croce, e poi riprendere la strada. Oppure, alla loro ombra si sedeva per riposare un po’, per scambiare due parole e guardare in lontananza i casolari i cui tetti di mattoni sbucavano sopra i campi di grano puntinati di rossi papaveri. Erano, queste piccole costruzioni, segni d’una religiosità sentita, che amava ricordare il Cielo anche se indaffarata nelle faccende di tutti i giorni. O tu che passi per questa via non ti scordar di salutar Maria. Ci si fermava di fronte ai piloni votivi per deporre alcuni fiori di campo, per biascicare una breve giaculatoria o per ringraziare silenziosamente. Alcune cappelline erano disposte sulle vie d’accesso ai santuari: nel mese di maggio ci s’andava per recitare il rosario. Altre servivano da punti di ritrovo per le feste patronali e della borgata. Erano, in tutto e per tutto, la Bibbia del popolo: di gente che forse non sapeva leggere, ma che si nutriva d’una sapienza profonda basata sul buon senso, sulla tradizione e soprattutto sulla fede. Le edicole venivano spesso costruite per adempiere un voto o per chiedere aiuto e protezione alla Madonna o ai santi nelle difficoltà di tutti i giorni. Perché il raccolto dei campi era importante, e se le bestie non stavano bene o se ci s’ammalava erano proprio guai seri. Essere costretti a letto dalla febbre significava non poter lavorare. E perdere il grano per il pane o il granoturco per la polenta voleva dire fare la fame. Allora s’innalzavano edicole a sant’Antonio abate protettore degli animali; a san Medardo e sant’Isidoro patroni degli agricoltori e degli aratori; a san Rocco patrono dei pellegrini e implorato contro la peste, il contagio e varie malattie; a san Pancrazio che protegge contro le gelate primaverili; a san Leonardo che protegge dalla grandine. Ma la maggior parte delle cappelline erano dedicate alla Madonna, specialmente nell’iconografia dell’Odigitria, la vergine che indica la via, spiritualmente e materialmente: è rappresentata a mezzo busto con in braccio il Bambino Gesù seduto in atto benedicente che tiene in mano una pergamena arrotolata e che la Vergine indica con la mano destra. La consuetudine di edificare piccole costruzioni campestri, per essere segni sul territorio del sentimento religioso del popolo, ha origini antichissime. Si ritiene che le odierne edicole sacre – chiamate anche piloni votivi, maestà, capitelli, madonnine – siano derivate dalle mongioie, che erano cumuli di pietra innalzati dalle popolazioni celtiche ai bordi delle strade, con funzioni religiose e di segnavia. Anche i romani avevano costruzioni analoghe: infatti il termine edicola deriva dal latino aedicula, diminutivo di aedes (= tempio) e significa piccolo tempio: indicava i tempietti che ospitavano la statua o la raffigurazione d’una divinità. Il grande patrimonio religioso delle edicole sacre è stato a lungo trascurato, da quando sono state abbandonate le campagne. Ma da un po’ di tempo a questa parte, in varie parti d’Italia, sono nate iniziative, si sono fatte ricerche e aperti inventari per valorizzare quella che non è solo una testimonianza di religiosità, ma che rappresenta anche un patrimonio di cultura e di arte popolare: molte edicole, infatti, pur nella loro semplicità, sono autentiche piccole opere d’arte. In alcuni casi ne viene riscoperto il valore turistico, trovandosi molti piloni o cappelle nei punti più suggestivi dei paesi. Per quarant’anni le maestà sono state dimenticate afferma una rappresentante dell’Istituto dei beni culturali dell’Emilia Romagna. Poi qualcuno è tornato in collina dopo essere andato in pensione. Ha riaperto la vecchia casa, ha ritrovato la maestà diroccata o coperta dall’edera. S’è messo al lavoro per rimetterla in piedi, ha messo un cero o un mazzo di fiori. Ha capito che non è giusto perdere la memoria di un luogo dove i nostri nonni si facevano il segno della croce. E pregando si riposavano un attimo dopo una giornata di lavoro che spaccava la schiena. Andare a cercarle, scoprire la storia delle edicole ancora presenti ai bordi dei campi, delle stradine, aiuta a ritrovare qualcosa di noi stessi, delle nostre radici cristiane che s’affondano sì in cielo, ma anche nel nostro territorio. E ci si può fermare, quando se ne incontra una durante un giro in bicicletta o una camminata o una gita: per ammirare con rispetto e riverenza il dipinto o la statua della Madonna o del santo. Magari per posare, come si faceva una volta, un mazzetto di margherite o di ranuncoli o di viole di campo; magari, come si faceva una volta, per far sgorgare dalle labbra e dal cuore un’umile preghiera.

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