Oggi e sempre secondo Benedetto
L’ultimo libro del papa: lucidità, misericordia, fermezza e paternità. Insieme.
Se si esce da alcune superficialità giornalistiche altrove diffuse, e si legge attentamente l’intervista di Peter Seewald al papa (La luce del mondo, Lev) non si può non rimanerne meravigliati (e lo dico dopo aver ascoltato Benedetto XVI per decine di ore e letto migliaia di sue pagine).
Prima cosa: Seewald è un giornalista intelligente, che calibra e sintonizza molto bene le sue domande – evitando sia la piaggeria che la freddezza – sulla misura di un uomo, Joseph Ratzinger, molto intelligente e colto, paziente e duttile nell’articolare le risposte con una chiarezza scrupolosa e un autocontrollo che non è solo psicologico ma, molto più, spirituale; proprio di chi deve capire, patire e amare non nel limite di sé stesso ma nella dimensione universale del mondo, cioè nella misura, sempre irraggiungibile e però sempre da raggiungere, di Cristo. Nel suo vicario, dice Seewald, «diviene visibile in modo particolare quel brillare della luce del mondo, lo sguardo di Cristo, che desidera incontrare ogni uomo e che non esclude nessuno».
Seconda cosa: a chi pensa che questo papa sia conservatore se non clericale risponde lui stesso, il papa, con una citazione di sant’Agostino che poi estende: «Molti che sembrano stare dentro, sono fuori; e molti che sembrano stare fuori, sono dentro. In una questione come la fede e l’appartenenza alla Chiesa cattolica, il dentro e il fuori sono intrecciati misteriosamente». E a riprova spiega: «Il cristianesimo dà gioia, allarga gli orizzonti» anche nel confronto con chi lo combatte; la sua resistenza a chi lo attacca è «tesa a mettere in luce ciò che vi è di positivo» nell’opposizione stessa.
Del proprio rapporto con Dio dice con semplicità («il semplice è il vero, e il vero è semplice») che «il papa, anche lui è un povero mendicante davanti a Dio, ancora più degli altri uomini»; che parla con lui, invoca i santi, in particolare la Madre di Dio, e mentre «mendica» ringrazia, o «è contento, semplicemente».
A questo punto comincia a nascere in me una domanda a cui potrò rispondere solo alla fine di questa lettura. Lui continua imperterrito e mite a parlare di fede, anche se da molti è irrisa o avversata, e di verità umana e divina, che fa parte dell’amore e perciò non può essere taciuta; di verità pure riguardo ai peccati dei cristiani stessi anche, e ancor peggio, ecclesiastici, per la cui denuncia e sottolineatura «dobbiamo essere riconoscenti anche a chi la fa solo per combattere e screditare la Chiesa».
Nessuna censura dunque su pedofilia e carrierismo clericale, sul male dissimulato e sull’apparire senza essere o contro l’essere. Benedetto continua ad addolorarsi, direi serenamente, se il lettore mi segue, continua a confessare che la Chiesa è sempre da purificare, e allo stesso tempo a difendere fermamente le verità irrinunciabili e fondanti (sacralità della vita, valore permanente del matrimonio, ecc.) con toni, a volte, di leale e virile rimprovero a chi lo attacca solo per attaccarlo; e d’altra parte con simpatica moderazione nei confronti dello stesso Seewald, che a volte si arrabbia contro le evidenti animosità malevole di un certo scientismo o laicismo («Non giudicherei così duramente – interviene il papa –; Noi non possediamo mai la verità, nel migliore dei casi è lei a possedere noi», dobbiamo dire «l’essenziale… ma con parole nuove», le grandi verità «tradotte e comprese in modo nuovo»).
Questa imperturbata lucidità intellettuale e paternità e misericordia e fermezza (sembra difficile farle stare insieme, lui ci riesce) mi intrigano, come si dice, sempre più. Nella “Comunione dei Santi”, dice a un certo punto e parlando al presente: «Tutti noi siamo in qualche modo uniti (…) e ci riconosciamo, anche se non ci siamo mai visti, perché agisce in noi il medesimo Spirito, il medesimo Signore». Sembra che questo grande papa, che si crede piccolo, il soprannaturale lo frequenti davvero.
Ecco allora la mia risposta alla mia stessa domanda, sufficientemente maturata; chi sente pensa e parla così, senza paura e senza ostilità, senza ansia e senza difensiva retorica, con coraggio umano e fortezza cristiana, non lo fa perché ha trovato la pace nell’età anziana o nelle illusioni del potere (che invece evidentemente serve – quello di Cristo – e non usurpa); ma perché attinge proprio a, come dice Gesù, «la mia pace, non quella che dà il mondo».