Odoardo Semellini legge Città Nuova
Un bel libro, questo del professor Salvarani: si tratta di un’autobiografia sui generis, piena di scoperte, incontri, riferimenti culturali di ogni tipo, di agevole e piacevole lettura. Una delle peculiarità della scrittura dell’autore, infatti, è di riuscire a veicolare concetti complessi in parole chiare, efficaci, comprensibili anche al lettore meno avvezzo ai saggi ponderosi. Un’abilità divulgativa affascinante, capace di avvicinare un ateo al Talmud e alla Bibbia, così come di far apprezzare al più serio degli studiosi la teologia dei Simpson e la pietas del De André de La Buona novella. Insomma, non una cosa che riesce facile a tutti. Uno dei motivi d’interesse del volume è osservare come la vocazione al dialogo di Salvarani – perseguita fin dalla prima adolescenza all’ombra del Concilio Vaticano II, e snodatasi attraverso molteplici esperienze – segua itinerari tutt’altro che scontati. A chi, abituato alle manifestazioni esteriori delle religioni – magari sapendone poco o nulla – o alle vulgate spesso superficiali dei mass media, i percorsi praticati da Salvarani raccontano l’altra faccia di una Chiesa in cammino, certamente non protagonista dei palcoscenici televisivi, ma capace di lasciare un segno profondo nella coscienza di chi vi si avvicina e di agire qui, oggi, in modo diretto e concreto. Basti pensare a progetti quali il villaggio della pace di Nevè Shalom – Waahat as Salaam, ai centri burkinabé di Dudal Jam, alla giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico. A questo proposito, da buon emiliano pragmatico, scrive l’autore: “Sempre più spesso succede che la fondante dimensione dialogica si mostri quella personale, privata. Incisivamente concreta, come quella sperimentata da molti fra coloro che hanno davvero, direttamente e non superficialmente, a che fare con immigrati di religioni altre”.
In tal modo, l’autore fornisce piste di riflessioni legate alle buone pratiche del dialogo, sorrette non solo da un robusto impianto filosofico, ma soprattutto dal decalogo del dialogo, posto alla fine del libro: una sorta di consigli pratici e molto terra terra, utili a fare dell’incontro con l’altro un’esperienza positiva e autentica. Per dirla con Bauman, il dialogo “è la vera rivoluzione culturale rispetto a quanto siamo abituati a fare ed è ciò che permette di ripensare la nostra epoca”. Nell’avventura di Salvarani non è difficile identificarsi, anche se non si sono percorsi gli stessi sentieri della fede che lo ha mosso sulla via del dialogo con i fratelli di altre religioni e i non credenti. È, alla fine dei conti, un’avventura umana, piena di curiosità e d’apertura al futuro, di dubbi e domande e qualche risposta, provvisoria e sempre in evoluzione. Perché gli uomini, in fondo, si pongono tutti le stesse domande: il senso della vita e della morte, la relazione con se stessi, con gli altri e il circostante… E allora le risposte che provano a darsi i nostri simili possono essere interessanti. Ecco, in questo senso “Un tempo per tacere e un tempo per parlare” fornisce qualche prezioso indizio, che aiuta a decifrare senza ansie il nostro difficile presente e a immaginare – possiamo dirlo? – un avvenire migliore.