Obama – Romney, una sfida aperta
A poche settimane dal voto per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, i due candidati sembrano aver calato le carte. Lo sfidante repubblicano Romney punta sul tema del “fallimento” del vasto programma di cambiamento di Obama. Da parte sua, Obama fa balenare lo spettro di un ulteriore rafforzamento dei poteri forti, dell'egemonia dell’1 per cento dei benestanti. Romney promette di ripristinare la leadership americana nel mondo, anche se non è chiaro come intenda perseguirla, in una realtà internazionale che è già strutturalmente cambiata a favore dei Paesi emergenti. Come ai tempi della campagna elettorale di George W. Bush, i temi di politica internazionale non sembrano prioritari, fatta eccezione per una propensione al protezionismo e alla tutela dei movimenti finanziari internazionali.
Tuttavia nemmeno Obama può fregiarsi di molti successi, con le qualificate eccezioni del ritiro (non totale) delle forze americane dall'Iraq e dell'eliminazione di Osama Bin Laden. In entrambi i casi si tratta di eventi “al negativo”, nel senso che non sembrano aver generato nuovi sentieri nella politica mondiale. E in entrambi i casi la loro chiave di lettura principale è legata soprattutto alla politica interna americana. In Afghanistan, nel migliore dei casi, la situazione si può descrivere in termini di un sostanziale stallo.
Saranno soprattutto i temi socio-economici a determinare il risultato elettorale. Con la scelta di Paul Ryan come candidato alla vicepresidenza, Romney punta a “disfare” le (poche) innovazioni introdotte da Obama, a cominciare dalla riforma sanitaria, che è dipinta come un tentativo di impiantare addirittura “il socialismo” in America, che i repubblicani del tea party e della base dura e pura considerano invece come la terra promessa dell'individualismo virtuoso (e basato sulla “selezione” piuttosto che sull’inclusione). Inoltre campeggiano sullo sfondo del dibattito sulla politica economica le due spine nel fianco degli Usa: la questione dell'enorme debito pubblico e la piaga, tuttora aperta, della disoccupazione. I temi cosiddetti “etici” avranno un loro peso, ma sostanzialmente ridimensionati rispetto alla precarietà economica e sociale.