O tempora! O mores!
L’accelerazione del nostro vivere ci sta realmente imbarbarendo? Siamo diventati tutti superficiali? Quali le responsabilità di comunicatori e pubblicitari? Un lettore ci scrive
Nel vagone della metropolitana, lo sguardo del nonno è un misto di curiosità e amarezza. Cerco di capire se ciò che lo colpisce maggiormente, nei due giovani che siedono di fronte a lui, sono i numerosi tatuaggi, le scarpe non allacciate, il piercing sulla lingua o l’ombelico “a tutta vista”. Forse è il loro atteggiamento. Al suo fianco, l’elegantissima nipote (13/14 anni, più o meno), cuffiette dell’I-Pod alle orecchie, digita freneticamente (col pollice della mano destra) sui tasti del cellulare, mentre si aggiusta (mano sinistra) l’originale acconciatura, probabilmente elaborata da un abile coiffeur. Mi tornano in mente le discussioni con i miei genitori sui “valori di una volta” e sulle differenze tra “questi tempi” e i “loro tempi”. Pensandoci bene, da oltre due millenni (anche Cicerone deplorava, in Senato, il decadimento dei valori…) la “parte saggia” della popolazione rimpiange il tempo che fu. Eppure, oggi la società mi sembra assai migliore rispetto a duemila anni fa.
Avvertire un senso di nostalgia per il periodo in cui si era giovani e socialmente “produttivi” fa parte della natura umana: è più agevole condividere i valori di un’epoca in cui si è (stati) attori protagonisti, piuttosto che spettatori. Stili di vita apparentemente antagonisti hanno, a turno, prevalso nelle varie epoche della nostra storia: se il “sessantotto” contestava una società ritenuta “superficialmente perbenista e normativa” (valori assai desiderati all’inizio del secolo scorso, poco prima dell’avvento del fascismo), oggi sembrano prevalere trasgressione e individualismo. Mi sembra che il cammino dell’umanità assomigli al percorso di una regata di vela: rispetto alla boa-traguardo, le barche si trovano sempre “troppo a destra” o “troppo a sinistra”. Lo scrittore Alessandro Baricco (sul periodico Wired dell’agosto scorso) sottolinea come la “violenta accelerazione” della nostra società, a tutti i livelli, rischi di penalizzare la ricerca della profondità, del senso ultimo della vita, sviluppando un modo di vivere più veloce e superficiale (Baricco etichetta come “barbari” gli inventori di Google e Wikipedia), che rischia di allontanare l’essere umano dai valori, dalla ricerca di Dio. Guardo un poster pubblicitario dal finestrino della metropolitana: una sexy-signorina dallo sguardo seducente magnifica le numerose funzioni di un nuovo telefonino-computer. La responsabilità dei comunicatori (giornalisti, pubblicitari, presentatori tv, ma anche insegnanti, sacerdoti) è molto alta e, spesso, poco interiorizzata.
Forse Baricco ha ragione. O, forse, il progresso e lo sviluppo mediatico hanno rapidamente inserito nuove e complesse realtà (fecondazione, internet, globalizzazione, immigrazione…) che richiedono (molto) tempo per essere comprese nelle diverse sfumature (positive e negative). Se Wikipedia, da una parte, favorisce una fruizione “veloce” della cultura, dall’altra consente l’accesso (superficiale?) ad una conoscenza che, prima, era patrimonio esclusivo dei “sacerdoti della profondità”. Molte persone si sono appassionate alla Divina Commedia, grazie ai simpatici (“grossolani” a parere di alcuni esperti letterari) commenti televisivi di Roberto Benigni. Prevedere che questa “fase superficiale” della nostra società possa portare al Bene sembra, ragionevolmente, un po’ paradossale…quasi quanto il fatto che si possa arrivare a Dio attraverso l’uomo…
Scendo alla mia fermata e penso che, nonostante tutto, le barche di una regata arrivano quasi sempre al traguardo, mentre osservo nonno e nipote che, tenendosi per mano, salgono sulla scala mobile che li porterà all’uscita.
Raffaele Cardarelli – Milano
Una sola nota a questa lettera, caro Cardarelli, Baricco sottolinea come “i barbari” rischiano di allontanare l’essere umano dai valori. Convengo. Come convengo sull’aggiunta: «Dalla ricerca di Dio», anche se Baricco questo non lo dice. Dobbiamo però abituarci a specificare meglio questi presunti “valori”, altrimenti si resta nel vago e in qualche modo ci si “imbarbarisce” sciacquandosi la bocca con questa parola. Preferirei parlare di “bene” al singolare o al plurale. Infine mi piace citare il grande Teilhard de Chardin che diceva: «Il meglio finisce sempre per accadere». Aggiungendo: «L’avvenire è migliore di qualunque passato». Questa è la speranza cristiana.