Nymphomaniac

Lars von Trier continua con il suo ultimo film l'esplorazione del male e del dolore iniziata negli ultimi lavori. Duro, pesante, senza una luce che indichi una via di uscita. Nelle sale anche "Nottetempo" di Francesco Prisco, "Divergent" di Neil Burger e "Corpi estranei" di Mirko Locatelli
Nymphomaniac di Lars von Trier

Nymphomaniac vol. 1
La prima parte dell’ultimo lavoro di Lars von Trier – la seconda uscirà il 24 – narra le confessioni di una donna, Joe, trovata ferita a terra, in una sera d’inverno, dal solitario e celibe Seligan. Si tratta di narrazioni della sua vita intima, delle proprie esplorazioni sessuali di ogni genere, della ricerca di una impossibile pace, anche di fronte ai dolori familiari come la morte del padre. Continuando la propria esplorazione del male e del dolore – iniziata con Antichrist e Melancholia – il regista di fatto apre sul suo mondo interiore attraversato da una tristezza infinita e dalla mancanza di un senso nella vita, ma anche esprime l’anima – se si può dire – di un Occidente malato, perduto nel nulla, che non sa né vuole, forse, risorgere.

Von Trier esplicita le scene di sesso con una meccanica fisicità, dove non c’è posto per l’amore, anche se  si discute molto – nel film – sull’amore e la vita. Riflessioni e dialoghi di Joe (Stacy Martin) con Seligan si alternano a musiche di Bach, citazioni di Poe e i rari momenti sereni della ragazza, da piccola, col padre nel bosco. Il clima del film è pesante, il diario sessuale più che conturbante, glaciale, automatico. Von Trier sparge una tristezza esistenziale immensa, una assoluta mancanza di luce, anche della religione, non c’è posto – per ora – per una possibile via d’uscita. Attendiamo la seconda parte, per una valutazione più completa.

Nottetempo
Opera prima di Francesco Prisco, il thriller vede come protagonista un violento, duro Giorgio Pasotti, nei panni di un poliziotto conturbato dalla vita ambigua e misteriosa, mentre lo inseguono sia un attore fallito (un grande Gianfelice Imparato) sia una ragazzina che è stata salvata da lui dopo un incidente in autobus. Girato nel SudTirol, il film sconta un montaggio imperfetto per cui la narrazione conosce scarti temporali che non la rendono scorrevole. Bella la fotografia, forse Pasotti in un ruolo non ancora troppo a fuoco, ma il regista è giovane e “si farà”.

Divergent
Hollywood ritenta una nuova saga dopo Twilight e ci risiamo in una Chicago post-apocalittica, ben divisa in determinate classi sociali e in cui a sedici anni occorre decidersi a quale appartenere, per essere sé stessi. Ma Beatrice (una simpatica, romantica Shailene Woodley) è una divergente, ossia non appartiene a nessuna delle classi: è quindi un pericolo sociale, va eliminata. Ma per fortuna c’è l’atletico biondo Quattro (Theo James) che l’aiuta, anche contro la “cattiva” Kate Winslet.  Filmone denso di effetti speciali e di avventure, d’amore rubato, di spazi e di sfide al rischio che piaceranno ai ragazzi e a chi è rimasto ragazzo dentro. Regia spettacolare, tesa, di Neil Burger. Ovvio, si attende il sequel.

Corpi estranei
Mirko Locatelli firma questo piccolo intenso film su un padre che porta dall’Umbria a Milano il suo bambino malato, da curare. Sono soli, perché la madre è rimasta a casa a seguire i fratellini. Antonio, questo il nome, vive in ospedale e qui fa amicizia col maghrebino Jaber che assiste l’amico malato Youssef. Amicizia intensa, ma anche inquieta, fra due anime doloranti. Filippo Timi sostiene tutto il film con una recitazione affannosa, sofferta, speranzosa, dalle mille sfumature della paternità. Asciutto, molto bello.

Ancora in sala: Il Pretore, diretto da Giulio Base, con Francesco Pannofino – tratto dal romanzo di Pietro Chiara –, e il giapponese Father and son, storia di uno scambio di neonati. Due prodotti di genere.

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