Nuovo nomenclatore, un passo indietro per la genetica

La Società Italiana di Genetica Umana (Sigu) ha denunciato come, con i nuovi tariffari in vigore da gennaio 2024, rimangano escluse molte prestazioni relative alla genetica. In assenza di un intervento da parte delle singole Regioni, queste saranno dunque a carico dei pazienti

La storia non è nuova, perché l’iter per il nuovo nomenclatore tariffario della specialistica ambulatoriale è iniziato nel 2014; e già nel 2022 la Società Italiana di Genetica Umana (Sigu) aveva inviato al ministero della Salute ed altre autorità una lettera in cui chiedeva revisioni, integrazioni e modifiche in base alle nuove condizioni che nel frattempo erano venute in essere. Ma ora, con l’avvicinarsi della scadenza del 1 gennaio 2024 – data in cui questi nuovi tariffari entreranno in vigore – l’allarme è tornato a suonare, lanciato dalla genetista dott.ssa Daniela Zuccarello, rappresentante della SIGU e dirigente medico presso l’Unità Operativa di genetica Clinica dell’Azienda Ospedale-Università di Padova, in un’intervista all’Osservatorio Malattie Rare (OMaR).

Facciamo un passo indietro: il nomeclatore è, semplificando al massimo, quel documento che elenca quali prestazioni devono essere garantite dal Servizio Sanitario Nazionale e a quali condizioni – in primo luogo economiche, naturalmente: si tratta quindi del passo necessario affinché una prestazione non rimanga solo sulla carta, ma possa essere effettivamente erogata. Le prestazioni che rientrano nei Livelli Essenziali di Assistenza (Lea) devono essere garantite in tutto il territorio nazionale; le singole Regioni possono poi, all’interno del proprio Sistema Sanitario Regionale, garantirne delle altre – e qui si apre l’annosa questione delle disparità tra i diversi territori.

Orbene, la dottoressa Zuccarello ha fatto notare nell’intervista che «il tariffario è stato aggiornato, peccato però che molte prestazioni relative alla genetica, oggi essenziali per fornire una risposta diagnostica tempestiva e certa ai pazienti con patologie rare senza diagnosi, non siano state inserite, e ciò significa che il Servizio Sanitario Nazionale non le fornirà gratuitamente. Per citare l’esempio più palese, non sono compresi i test necessari in quei casi in cui i bambini presentano ritardi cognitivi non sindromici, o quadri assimilabili allo spettro autistico, che oggi sappiamo essere un cappello generico all’interno del quale restano “nascoste” una lunga serie di patologie rare genetiche. Per altre condizioni, invece, per alcune delle quali si è vicini a terapie che potrebbero cambiare significativamente la qualità di vita dei pazienti, sarà possibile solo un’analisi ridotta a pochi geni, poiché l’elenco dei geni analizzabili per ogni specifica condizione risale al 2016».

Proprio contro i tempi eccessivamente lunghi della definizione del tariffario punta infatti il dito la direttrice di OMaR, Ilaria Ciancaleoni Bartoli: «L’evoluzione tumultuosa della genetica ha reso rapidamente obsoleto il sistema diagnostico che poteva andar bene 10 anni fa. A questo si aggiunge il problema mai superato dei codici di esenzione per malattia rara che non vengono aggiornati dal 2017 e la mancata applicazione di quanto previsto dal Testo Unico Malattie Rare, che aveva giustamente indicato la necessità di trasferire nel nostro sistema di esenzioni gli Orphacode, gli unici che garantirebbero di non lasciar fuori alcuna patologia nota [ad oggi molte patologie non dispongono di un codice di esenzione, ndr]: un combinato di ritardi che a gennaio esploderà sulle famiglie in cerca di diagnosi e sulle coppie a rischio che cercano o attendono un bambino».

Sono quattro in particolare, si denuncia, gli ambiti in cui il nuovo tariffario avrà ripercussioni. Il primo riguarda appunto il fatto che alcuni tipi di indagine genetica non saranno più garantiti, o lo saranno solo in alcune Regioni: su tutte la dott.ssa Zuccarello cita «il sequenziamento dell’esoma in trio, la metodica che oggi ci permette di indagare contemporaneamente su migliaia di geni, andando a mettere in luce tutte le potenziali anomalie genetiche, per poter dare risposte a pazienti e famiglie che si trovano ad affrontare gravi patologie debilitanti, molte ancora senza una diagnosi molecolare precisa, senza avere la possibilità di sapere cosa li aspetta per il futuro. Non potremo inoltre fornire gratuitamente l’indagine genetica estesa ai genitori del paziente per capire se si tratta di una patologia ereditaria o di una mutazione de novo (quindi non ereditaria né ereditabile), con il rischio di non poter mettere le famiglie in condizioni di decidere consapevolmente su gravidanze successive».

In secondo luogo, non sarà più possibile utilizzare il codice R99, attualmente usato per esentare le prestazioni diagnostiche in caso di sospetta malattia rara: a meno che dunque già non si possa identificare la patologia, e questa già rientri nell’elenco delle malattie rare esenti, non sarà possibile eseguire indagini genetiche da parte del Ssn. Ad essere colpiti saranno, quindi, più degli altri, i malati rari senza diagnosi. Ma di quante persone (e di quanti soldi) parliamo? Secondo le stime più recenti, afferma OMar, in Italia sono almeno 100 mila; e secondo una recente rilevazione di Chiesi Global Rare Disease le malattie rare comportano un onere medio di costo pari a 107.000 euro per paziente all’anno. Buona parte sono costi indiretti come caregiver, cambi di casa, trattamenti secondari, viaggio e alloggio, e vengono sostenuti dalle famiglie con una spesa annua che può arrivare anche a 48.000 euro.

Il terzo e il quarto punto toccano tematiche eticamente più sensibili, che riguardano però prestazioni a cui sempre più spesso si fa ricorso: la prima è il Nipt, il test di diagnosi prenatale non invasivo (comunemente conosciuto come test del dna fetale), non inserito nei Lea e dal costo di 8-900 euro; il secondo è la diagnosi preimpianto nel caso in cui la coppia ricorra alla procreazione assistita in ragione di una malattia genetica nota (per semplificare al massimo, si verifica prima di impiantare l’embrione che questo non presenti la patologia ereditaria che si vuole evitare), dal costo di svariate migliaia di euro. Sicuramente si potrebbe obiettare, appunto, che si tratta di pratiche che pongono interrogativi etici importanti, in particolare la seconda; ma sicuramente la cosa stride con il fatto che quelle stesse coppie abbiano poi la possibilità, qualora effettivamente concepiscano un figlio malato, di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza, eticamente altrettanto sensibile e più impattante sotto il profilo psicologico – ma più economica e già inserita nei Lea.

Ci sono poi anche altre criticità citate: dal non inserimento dell’estrazione e conservazione degli acidi nucleici, cosa che consente di ottenere e conservare un’aliquota di Dna del paziente per l’esecuzione di analisi successive (anche eventualmente presso un altro centro), costringendo il paziente a recarsi di persona ogni volta per un prelievo; fino al mancato aggiornamento dei tariffari per le consulenze genetiche, oggi molto più lunghe e complesse rispetto a dieci anni fa, con il risultato di non consentire ai genetisti di dedicare il tempo necessario a ciascuna di queste. La vita dei malati rari, insomma, continua a scontrarsi contro la burocrazia.

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