Nuovo mandato per Evo Morales
L'ex sindacalista ha ottenuto quasi il 60 per cento dei voti, vincendo anche nei tradizionali bastioni dell'opposizione. Premiati la maggiore stabilità economica e il processo di inclusione sociale di quei settori da sempre emarginati
Il presidente boliviano Evo Morales ha ottenuto in modo quasi plebiscitario un nuovo mandato. Quasi il 60 per cento degli elettori ha votato per lui, vincendo anche nella regione orientale del Paese, conosciuta come la "mezza luna", bastione tradizionale dell'opposizione.
Il suo avversario più immediato, Samuel Doria Medina, ha ottenuto il 25 per cento delle preferenze, mentre l'ex presidente Tuto Quiroga non è andato oltre il 9 per cento. I dati ufficiali, ancora non disponibili, confermeranno se Morales avrà a sua disposizione i due terzi dell'Assemblea legislativa, necessari per i casi in cui è prevista una maggioranza speciale.
In base a una interpretazione del Tribunale Costituzionale, si tratta di un secondo mandato e non di un terzo (che la norma non permette). Il primo venne interrotto dal proprio Morales in vista dell'approvazione della nuova Costituzione che abbandonò lo Stato repubblicano per istituire lo Stato plurinazionale. I giudici considerarono che il primo mandato apparteneva dunque a un altro schema istituzionale.
Particolarmente significativa la vittoria nel dipartimento di Santa Cruz, da sempre opposto alla gestione del partito del presidente, il Movimento al Socialismo (Mas), e dove nel passato si sono registrati anche conati di autonomismo locale, prossimo al secessionismo. Solo nel dipartimento di Beni il Mas non ha raggiunto la maggioranza dei voti. In un discorso pronunciato in nottata dal balcone del Palacio Quemado, nel centro storico di La Paz, il presidente eletto ha invitato l'opposizione a superare gli steccati ed a «lavorare insieme per la Bolivia».
Superati gli anni di maggiore conflitto, il Paese sperimenta una maggiore stabilità economica e sociale. La presenza di questo ex sindacalista al potere, ha permesso la progressiva inclusione nella società del settore più discriminato, quello indigeno-meticcio. Uno degli obiettivi di Morales è stata la rottura con qualsiasi vestigio di colonialismo, pratico o formale, il che ha cozzato anche con gli interessi di coloro che hanno beneficiato dello schema sociale ed economico applicato nel passato, da qui i numerosi conflitti verificatisi soprattutto durante la sua prima gestione.
Se fino nel 2006 l'esportazione di idrocarburi procurava al Paese 400 milioni di dollari annuali, dopo la nazionalizzazione delle risorse naturali, queste entrate si sono trasformate in 6 miliardi di dollari annui, senza che le grandi compagnie abbandonassero la Bolivia, segno del grande squilibrio applicato nel passato ai rapporti commerciali.
Le maggiori entrate pubbliche hanno consentito di migliorare la distribuzione del reddito, con investimenti realizzati nell'area dell'istruzione, della salute, delle infrastrutture. Fanalino di coda dell'economia latinoamericana durante decenni, la Bolivia oggi ha un Pil che ha raggiunto i 30 miliardi di dollari. Il pil pro capite è passato da 1010 dollari annui agli attuali 2.750, mentre il salario minimo si è moltiplicato per tre. Per quest'anno si prevede una crescita dell'economia tra il 5,2 ed il 5,7 per cento. Il miglioramento delle condizioni di vita ha prodotto una diminuzione sostanziale dell'emigrazione, dopo decenni in cui parte della popolazione era costretta a cercare fortuna altrove.
Sarà possibile coniugare il miglioramento degli indicatori economici e sociali con una migliore qualità istituzionale in un Paese dove si è in democrazia da poco più di 30 anni?
Una delle questioni attuali in Sudamerica, dove i governi di centrosinistra hanno ottenuto migliori risultati nella lotta alla disuguaglianza rispetto alle ricette applicate dal neoliberismo nel passato, è il rischio di lasciarsi vincere dalla tentazione di imporre progetti egemonici, anch'essi una sorta di pensiero unico. Il progetto di Evo Morales non è esente da questo rischio.