Nuovo giro di vite dei talebani. Chiusa Radio Begum

La parola "begum" in lingua pashto indica, in modo onorevole e rispettoso, la donna. Radio Begum è stata fondata a Kabul in una data simbolica, l’8 marzo 2021, pochi mesi prima del ritorno dei talebani, che l’hanno chiusa il 5 febbraio scorso per violazione delle regole dei media
Kabul, Afghanistan, 15 gennaio 2025. Ansa EPA/SAMIULLAH POPAL

Il 5 febbraio scorso una breve nota sui quotidiani statali di Kabul, nella sezione cultura, annunciava la sospensione del permesso di lavoro accordato a Radio Begum dal Ministero dell’informazione e della cultura. Causa: alcune violazioni delle regole dei media come «l’aver fornito materiale a canali tv esteri». Nella nota si precisa che si procederà ad indagini ed esame di documenti per chiarire perché la radio abbia usato impropriamente il permesso di lavoro accordatole dal suddetto ministero.

La parola begum in lingua pashto indica, in modo onorevole e rispettoso, la donna. Radio Begum è stata fondata in una data simbolica, l’8 marzo del 2021, pochi mesi prima dalla presa di potere dei talebani. Nata dall’iniziativa dell’imprenditrice e giornalista Hamida Aman e operando sotto la Begum Organization for Women (Bow), la stazione trasmetteva 24 ore su 24, 7 giorni su 7 da Kabul, raggiungendo circa tre quarti dell’Afghanistan. Aveva l’obiettivo profetico di sensibilizzazione sulle problematiche femminili, proponendo contenuti educativi di qualità per studenti delle scuole medie e superiori, in particolare rivolti alle ragazze alle quali è stato impedito l’accesso all’istruzione formale dal ritorno al potere dei talebani nell’agosto 2021. A marzo 2024, l’organizzazione aveva ampliato le sue iniziative educative lanciando Begum TV, un canale satellitare con sede a Parigi finanziato in parte dal Malala Fund.

Questo ulteriore giro di vite si aggiunge alla costante, progressiva erosione delle libertà attuata dal regime talebano nei suoi 3 anni e mezzo di governo. Uno degli obiettivi perseguiti è stato sicuramente il controllo della comunicazione: controllo totale delle trasmissioni tv, severa censura sui servizi giornalistici, chiusura dei canali di comunicazione, minacce e arresti nei confronti dei giornalisti. Solo nel 2024, sono state chiuse almeno 18 stazioni radiofoniche e televisive. Le restrizioni hanno colpito in modo particolare le donne.

Apriamo una finestra sul Paese: circa 40 milioni di persone, distribuite su una superficie di 652.230 Km² (poco più del doppio dell’Italia, che conta però molti più abitanti).  Territorio montuoso e impervio, costellato di piccoli villaggi mal collegati e disperatamente arretrati, che vivono di agricoltura e pastorizia. Nel 2024, Geo-poll, dal 2012 azienda leader mondiale nella ricerca a distanza e nella raccolta di dati in Africa, Asia e America Latina, ha condotto uno studio sull’utilizzo dei media in Afghanistan, offrendo uno scenario dettagliato sul consumo di tv, radio e media digitali in tutto il Paese. Se è ancora limitata la possibilità di accesso a internet e la televisione (censurata) è il mezzo di comunicazione più diffuso, la radio resta quello più immediato e accessibile. Raggiunge anche le aree più remote e provvede a trasmettere notizie essenziali, educazione, consapevolezza, favorendo lo sviluppo sociale.

La chiusura di Radio Begum ha quindi un importante significato politico e un notevole impatto culturale e sociale. La notizia in patria sfugge fra le righe interne del quotidiano The Kabul times e anche sulle testate internazionali non fa molto rumore. Reagisce la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan (Unama), affermando che i media liberi sono essenziali per il progresso e lo sviluppo della società. L’italiana Focus on Africa, pur dedicata al continente africano, riporta la notizia titolandola “la voce del silenzio”. Reporters Without Borders (Reporters senza frontiere), organizzazione che difende il diritto di ogni essere umano ad avere accesso a informazioni gratuite e affidabili, denuncia l’escalation della “tirannica repressione dei media”. Secondo il quotidiano Avvenire, «il complotto del silenzio, che ha violentemente zittito Radio Begum, l’unica radio e televisione di donne per le donne nell’Emirato islamico, ha complici anche in Occidente».

C’è anche chi non ha taciuto, ma sono soprattutto le voci degli afghani all’estero che non cessano di denunciare quanto sta accadendo in patria. AmuTv, piattaforma multimediale digitale, che trasmette dagli Stati Uniti, fondata da giornalisti indipendenti impegnati per un giornalismo libero, equo e credibile per l’Afghanistan, dichiara che la chiusura di Radio Begum scatena l’indignazione sulla libertà di stampa in Afghanistan. Women’s news (organizzazione non-profit) sostiene che è importante sostenere chi ha ancora il coraggio di reagire. «Da quando i talebani hanno preso il potere, 4 donne su 5 in Afghanistan hanno perso il lavoro. Quelli che rimangono stanno affrontando una missione quasi impossibile. È fondamentale garantire che le donne afgane possano continuare il loro lavoro, perché senza le donne giornaliste, non avremo accesso alla metà della popolazione dell’Afghanistan, che è anche il principale obiettivo dell’oppressione dei talebani». Proprio qui, nella collaborazione con chi da fuori sostiene chi lotta per la libertà nel paese, nasce la speranza che prima o poi, la pressione si faccia sentire.

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