Nuovo colpo di scena al processo per il sangue infetto
Nella seconda udienza di lunedì 23 maggio, presieduta dal giudice monocratico Antonio Palumbo, il protagonista di un nuovo colpo di scena nella causa intentata dalle vittime di trasfusioni di sangue infetto, è stato il pubblico ministero Lucio Giugliano. La vicenda oggetto del processo è quella ormai tristemente nota degli emofiliaci italiani deceduti a causa dell'uso di emoderivati prodotti con plasma infetto, e di cui sarebbero responsabili alcune delle più importanti case farmaceutiche, tanto che loro funzionari o rappresentanti sono oggi alla sbarra degli imputati nel processo che si tiene nel capoluogo campano. Nel corso del suo intervento, il pm ha fatto due richieste: l'applicazione dell'articolo 129 del Codice di procedura penale, cioè il proscioglimento dal processo, per tre imputati, e la costituzione di una perizia che accerti la fondatezza scientifica del nesso causale tra l'utilizzo di sacche di sangue infetto e i decessi oggetto del processo.
Le richieste del pubblico ministero arrivano dopo l'audizione di un solo teste, il professore Piermannuccio Mannucci, che si era svolta nella prima udienza, a fronte di un numero complessivo di circa 100 testimoni previsti. A sostegno della sua richiesta Giugliano richiama proprio le dichiarazioni di Mannucci rese in aula e la documentazione fin qui acquisita, oltre alle imputazioni così come sono formulate. I quattro imputati di cui si chiede il proscioglimento sono il rappresentante, ultraottantenne romano, della casa farmaceutica Sclavo; l'amministratore o co-amministratrice di fatto della Co.Pla; l'autista della Co.Pla, e infine un infermiere presso l'ospedale Cardarelli di Napoli. La vicenda di queste due ultime posizioni è legata a quella del furto di sacche di sangue che, usate successivamente, avrebbero determinato diverse morti.
Per quanto riguarda la posizione dell'amministratrice della Co.Pla., Giugliano fa notare che quest'ultima era presidente del Cda della Sclavo a partire dal 15 settembre del 1987 e a supporto dell'applicabilità dell'art. 129, il pm ricorda che, così come ricostruito da Mannucci e dalla documentazione acquisita, a partire dal 1987 e già da un paio di anni si erano studiati ed erano stati introdotti nei prodotti emoconcentrati i metodi di inattivazione virale, idonei a far sì che non si verificasse alcuna forma di contagio. Quindi a maggior ragione, secondo Giugliano, con riferimento all'imputazione di omicidio colposo, non si può sostenere che ci potesse essere un decesso collegato a quella data.
D'altronde, aggiunge infine il pubblico ministero, il processo che si sta celebrando a Napoli è di tipo penale e quindi occorre stabilire con certezza l'aspetto soggettivo della colpa, della prevedibilità ed evitabilità delle morti. Alla fine del suo intervento c'è stato molto stupore e parecchia perplessità tra i banchi degli avvocati delle parti civili. Innanzitutto, ad esempio, ci si chiede il perché di una richiesta di questo tipo, l'art. 129, fatta alla seconda udienza del processo, avendo ascoltato e dato come valida la sola testimonianza di un teste, e non farla invece prima, nelle udienze preliminari.
Particolarmente caustico il commento dell'avvocato Ermanno Zancla, uno dei difensori delle parti civili: «Si tratta di una svolta sorprendente, i cui sviluppi al momento non possiamo prevedere. Posso solo dire che nella mia carriera di penalista non mi era mai accaduto di assistere a un procedimento, avviato dopo una udienza preliminare che aveva disposto il rinvio a giudizio, in cui dopo l'audizione di un solo testimone, il pm che dovrebbe esercitare l'accusa formula delle richieste di proscioglimento immediato sulla base di atti che peraltro il giudice non ha nemmeno. Ricordo che il nostro processo prevede che la prova si formi nel corso del dibattimento, tanto è vero che la Corte di Cassazione ha stabilito che il proscioglimento in questa fase deve essere supportato da una evidenza di innocenza più qualificata di quella prevista nel caso della assoluzione finale. Vorrei quindi capire come può il pubblico ministero chiedere al giudice di prendere una posizione in questo momento, in un processo che ha quasi mille faldoni di indagini e del quale il giudice in questa fase forse conoscerà il due per cento».
Di certo non si farà attendere la controrisposta in aula degli altri avvocati, prevista per il prossimo 6 giugno, data della prossima udienza nella quale presenteranno le loro valutazioni. In quell'occasione si valuterà se sciogliere o meno la riserva sulle richieste presentate dal pm o se farlo in una data successiva. Sempre nell'udienza di lunedì 23, il giudice Palumbo ha anche esaminato e accolto la richiesta presentata dall'avvocato delle parti civili Stefano Bertone, dello studio legale torinese Ambrosio&Commodo, di poter ammettere in aula la stampa per video riprese. Il giudice, nonostante il consenso, ha stabilito delle restrizioni ben precise, ad esempio non si potranno riprendere in volto né gli imputati né i loro avvocati.
Chiamato a motivare il perché di questa richiesta, l'avvocato Bertone ha spiegato che il processo, proprio per il tema trattato, necessita di una maggior pubblicità nell'opinione pubblica che non riesce a garantire la sola Radio Radicale, che segue il procedimento fin dall'inizio.