Nuovi scontri in Egitto
Ancora Egitto ed ancora violenza. Come ampiamente descritto dai media, la scintilla che ha fatto esplodere gli scontri è stata la sentenza di condanna a morte per il “processo Port Said”, legato alla strage di 73 tifosi negli incidenti avvenuti al termine della partita di calcio Al Ahli-Port Said del primo febbraio 2012.
La carneficina era avvenuta a Port Said, dove i tifosi della squadra della capitale (l’Al Ahli) avevano perso il 10 per cento dei tifosi al seguito dei calciatori. Allo stadio, accanto alle tifoserie, si erano infiltrati hooligans e criminali comuni, muniti di coltelli, armi da fuoco e sbarre di ferro per punire la tifoseria del Ahl, accusata di aver protetto dalla polizia i manifestanti pacifici durante la rivoluzione di Tahrir. Da molte parti si è convinti che il massacro sia stato abilmente orchestrato dalla polizia. I responsabili della sicurezza dello stadio avevano chiuso le porte e spento le luci e non c’era polizia dentro lo stadio.
Alcuni mesi fa, la prima sentenza aveva causato altri scontri con la morte di quaranta manifestanti, soprattutto nella città lungo il canale di Suez. I condannati, 21 in tutto, sono giovani tifosi, soprattutto del Port Said, e solo due dei nove poliziotti accusati. Gli altri erano già stati liberati. Il capo della sicurezza se l’è cavata con 15 anni di reclusione. Gli scontri di domenica nella capitale hanno colpito sia il caffè del club della polizia che la sede della Federcalcio egiziana sull’isola di Zamalak. Intanto, a Port Said hanno cercato di disturbare, senza troppo successo, il traffico sul canale di Suez e bruciato un posto di polizia.
La polizia, poi, da alcuni giorni si trova la centro di molte tensioni nel Paese. Dal 4 marzo è iniziato al Cairo lo sciopero degli agenti, soprattutto dei ranghi inferiori, che si è velocemente diffuso in tutto il Paese, raccogliendo migliaia di sostenitori contro le politiche del presidente Mohamed Morsi e dei Fratelli Musulmani, accusati di tentare di politicizzare anche i ranghi delle forze dell'ordine, sostituendo i vertici con persone a loro fedeli. In passato, per decenni, il governo Mubarak aveva controllato le forze di polizia responsabili di molti arresti di leader dei Fratelli Musulmani e dei salafiti. Dopo la salita al potere nel 2012, gli islamisti stanno utilizzando a loro volta gli agenti per i propri fini. In più di un'occasione, si accusa, funzionari affiliati alla Fratellanza avrebbero impartito l'ordine di scagliarsi contro manifestanti inermi, provocando massacri, solo per intimorire la popolazione ed evitare l'accrescersi del dissenso.
L’agenzia Asia News ha riportato la notizia che, nella capitale, decine di poliziotti hanno bloccato in questi giorni l'ingresso a una delle principali stazioni di polizia della città, lanciando slogan contro il presidente Morsi. Altri hanno organizzato un sit-in davanti all'abitazione del leader islamico nella sua città natale di Zagazig, a nord-est della capitale. In altre città, Assiut e Luxor, a sud del Cairo, ci sono state proteste e sit-in contro Ahmed Gamal, neo ministro dell'Interno, accusato di usare le forze dell'ordine per proteggere i membri del suo partito. Già Mohammad Ebrahim, il suo predecessore, era stato costretto a dimettersi perché si era rifiutato in agosto di usare la forza contro i manifestanti durante le proteste anti-islamiste. Fonti locali sostengono che i funzionari del movimento islamista sono infuriati con la polizia che in questi mesi non ha protetto le sedi del partito Giustizia e Libertà più volte attaccate e date alla fiamme nel corso delle proteste.
Stanno, poi, emergendo altre tensioni fra i poteri istituzionali. Un tribunale ha dichiarato illegittime le elezioni per il parlamento, indette dal presidente Morsi e previste per aprile/maggio. Questo significa un nuovo braccio di ferro tra governo e magistratura.
Quello che, comunque, più preoccupa, al di là di queste notizie, è il clima di odio, latente, all’interno del Paese, che esplode facilmente con atti di violenza cruenta. Questo, oltre alla paura, crea disagio anche in una metropoli come il Cairo, dove le scuole restano chiuse e la gente non se la sente di spostarsi.