Nuove sfide sul tetto del mondo
“Lì non c’è niente da conquistare, l’unica cosa da conquistare è riuscire a capire un po’ meglio se stessi, le proprie debolezze, le proprie contraddizioni “. Fausto De Stefani è nato e vive nella campagna mantovana. Eppure quest’uomo mite, dallo sguardo profondo, è uno dei maggiori alpinisti della storia, uno dei sette ad avere al proprio attivo tutti e 14 gli ottomila della terra. Gli ultimi trent’anni della sua vita, trascorsi su e giù per le valli dell’Himalaya, gli hanno consentito di conoscere, come pochi, non solo le sfide estreme al tetto del mondo, ma la cultura, le tradizioni, insomma le persone che vivono tra quelle montagne ritenute spesso dagli occidentali solo come terre di conquista. Ogni anno decine e decine di spedizioni si avventurano sulle pendici dell’Himalaya, supportate da poche grosse agenzie di trekking che da Kathmandu organizzano il business miliardario della sfida a pagamento alle alte quote senza ossigeno. “Ai campi base degli ottomila – racconta Fausto – ho incontrato anche alpinisti impreparati, eppure ambiziosi, che hanno presentato falsi curriculum di ascensioni per avere i permessi. “L’alpinismo è lo specchio fedele della nostra società “. La cultura della conquista e del record infatti dilaga inesorabilmente. È di poche settimane fa la notizia che una giapponese di 63 anni può ora vantare il record della donna più anziana salita sul tetto del mondo. “Nel ’96, l’anno più tragico per l’Everest, – ricorda De Stefani – con oltre 30 morti, c’erano, solo a maggio, ben 15 spedizioni. Salivo dal versante nord: giunto al colle ho visto col cannocchiale i 4 membri della spedizione militare indiana raggiungere la vetta. Erano felici, ma io ero preoccupato per loro: essere in vetta solo alle 18 significava non riuscire a scendere in tempo per la notte. Hanno bivaccato in alta quota: uno è morto subito. Alle 4 del mattino, quando sono saliti in vetta i giapponesi con gli sherpa li hanno incontrati, ma non si sono fermati, puntando dritto alla vetta. Al ritorno erano tutti morti: questa è omissione di soccorso bella e buona”. Era una spedizione commerciale e raggiungere la vetta veniva prima della solidarietà. “Decenni di spedizioni occidentali – spiega ancora De Stefani, non senza un velo di tristezza – hanno portato ricchezza ad un numero limitato di persone e creato uno scollamento del tessuto sociale. La cultura del rispetto non è affatto cresciuta: oggi basta pagare e si va ovunque. La forza fisica e spirituale di molti uomini delle vallate himalayane, che prima lavoravano la terra ed ora sono apprezzati sherpa, ha fatto guadagnare loro molti, moltissimi soldi. Ma abbiamo esportato tanti modelli negativi. In villaggi poverissimi sono comparsi i primi televisori: ancor prima che nascesse una emittente nepalese, col satellite si sono invase le loro case con i film di Rambo e Bruce Lee. Nei ragazzi, la cui indole era di estrema tolleranza, si è sviluppata una aggressività prima sconosciuta”. È proprio ai ragazzi più poveri che De Stefani ha deciso di dedicare oggi le sue energie. Kirtipur è un grosso villaggio fuori la capitale: la povertà vi domina regina anche se, straordinariamente, proprio qui sono nati i più apprezzati talenti musicali del Nepal ed i migliori intagliatori di legno del paese. Sfruttando la sua notorietà, l’alpinista mantovano ha raccolto oltre 180 mila euro, utili per costruire una scuola per oltre 700 bambini. “Ma non è un ghetto per ragazzi orfani, come ne ho visti tanti in oriente chiarisce Fausto -: è una struttura aperta, inserita in un area naturalistica di valore, con un convitto per 60 di loro, con la biblioteca, un progetto no-profit dove non c’è spazio per speculazioni. In quella zona, come in altre altrettanto degradate, i bambini sono in balia di tutti: oltre ad essere senza genitori, vengono sfruttati in ogni maniera e sono anche vittime del turismo sessuale. E nessuno vuol parla- re di queste situazioni”. Una visione più rassicurante della realtà nepalese quella offerta da Ang Tshering Sherpa, responsabile di Asian-Trekking. Questa persona, dai modi affabili e rispettosi, è un imprenditore estremamente vivace ed intraprendente: la sua agenzia, che dà lavoro a 350 persone, potente ed efficiente, da oltre vent’anni supporta innumerevoli progetti escursionistici himalayani, oltre alle maggiori spedizioni internazionali agli ottomila, 135 sul solo Everest. “Il turismo ha innalzato il livello economico degli abitanti del nostro paese – spiega -. A mio giudizio l’afflusso di occidentali ha contribuito anche mettere in luce la nostra cultura, le nostre tradizioni e la nostra religiosità “. Recentemente alcune spedizioni alpinistiche sono state oggetto di assalti e di sequestri (100 dollari il prezzo del riscatto) da parte di guerriglieri maoisti, che approfittano della caotica situazione politica del paese, in preda ad una devastante corruzione. “È vero, ammette Ang Tshering – il paese sta passando una situazione politica drammatica, ma non mi risulta che vi sia alcuna ricaduta sui turisti, che possono continuare ad arrivare tranquilli”. Con altrettanta sicurezza egli smentisce che persone impreparate arrivino agli ottomila e sminuisce la valenza negativa delle spedizioni “a pagamento” tutto compreso. Nel riconoscere che in passato l’inquinamento ambientale degli ottomila (rifiuti, bombole d’ossigeno, materiale d’ogni genere) sia stato incontrollato, assicura che oggi “le spedizioni si sono organizzate, e la nostra stessa agenzia ne ha promosse numerose di ecotrekking, con l’obiettivo di ripulire le vette e favorire una cultura del rispetto ambientale”. Ang Tshering, il primo ad aprire una polizza assicurativa per i suoi portatori sherpa, esprime tutto il suo apprezzamento, innamorato innamorato com’è del suo paese, a quelle iniziative, che oggi si moltiplicano, tese a sollevare la condizione dei più disagiati. La situazione nepalese è comunque affine a tutti i paesi attorno all’Himalaya, compreso il Tibet, che ne rappresenta il versante cinese. Qui è attiva Eco – Himal, un’altra organizzazione di volontariato, sorta grazie alla passione instancabile di Tona Sironi, geologa, alpinista, giornalista. Suo marito, Kurt Diemberger, vanta il merito di essere l’unico uomo ad aver scalato per primo due ottomila. “Operiamo in collaborazione con le comunità locali – spiega – nella realizzazione di interventi di carattere umanitario e culturale nell’area tibetana. In concreto abbiamo cominciato con la ricostruzione di due monasteri buddisti. In seguito il governo locale ci ha permesso solo di costruire scuole, centri di assistenza medica, impianti di pannelli solari per produrre energia”. La sua azione ha mantenuto però uno stretto legame con l’alpinismo himalayano. “Abbiamo creato una scuola per alpinisti tibetani. – racconta – In passato le spedizioni erano proibite, poi, con la rivoluzione, la conquista delle vette è stata vista come elemento in grado di dare prestigio al popolo cinese. Sono venuti così in luce fortissimi alpinisti cui manca solo un riconoscimento ed una visibilità internazionale ed una conoscenza adeguata della lingua inglese. Questo è ciò che da loro la scuola”. In Tibet si vive un alpinismo di tipo statale, secondo i dettami di un vero e proprio lavoro organizzato. “È vero – conferma Tona Sironi -, e per questo vede coinvolte in egual misura le donne, quelle che per Mao Tse Tung, “sostengono l’altra metà del cielo”. Molte di loro sono oggi fortissime. Esse, in cerca di una emancipazione femminile che tarda a venire, hanno imparato l’arte di arrampicare con tecnica moderna, dimostrando capacità e forte personalità, fierezza e dignità”.