Nuove sfide in medicina

Professionalità, etica e relazionalità nelle professioni sanitarie: ne discutono docenti, studenti e giovani professionisti.
Policlinico Gemelli

«Con innocenza e con purezza custodirò la mia vita e la mia arte»: questo impegno – tratto dal giuramento di Ippocrate prestato da medici, odontoiatri e veterinari prima di cominciare la propria professione – è ancora realtà o è solo un’utopia? Ne hanno discusso, a Roma, studenti, ricercatori e docenti. Riuniti in un convegno internazionale al Policlinico Gemelli (23 e 24 ottobre), questi professionisti delle professioni sanitarie si sono interrogati su temi scottanti di attualità: la formazione, l’etica della ricerca, la relazione medico-paziente, i valori della professionalità. Organizzato dall’associazione Mdc (Medicina, dialogo, comunione), al convegno hanno partecipato docenti e studenti provenienti da tutta l’Italia.

 

Sabato 23 ottobre si è partiti dalla formazione alle professioni sanitarie: dall’importanza del ruolo del docente, dalla necessità di un dialogo da instaurare a tutti i livelli, da una realtà che non è sempre esaltante, anche se non mancano esempi lungimiranti. «Per dare un contributo alla trasformazione – spiega Flavia Caretta, docente del Dipartimento di Scienze gerontologiche, geriatriche e fisiatriche dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma – bisogno avviare un dialogo al di là del ruolo che si riveste, anche se non è semplice né immediato. Bisogna uscire dai propri problemi, dai propri limiti, per andare incontro all’altro. Questo può generare un rapporto che, si dice, va e torna, e proprio questo ritorno fa ritrovare il senso del nostro agire. Forse, in questo modo, è possibile fare un salto di qualità. La reciprocità può trasformare ogni componente del mondo sanitario ed accademico in soggetti, in protagonisti del cambiamento».

 

Quando si affronta un lavoro logorante, le idealità possono offuscarsi e, spesso, tra i docenti, si possono considerare scontate pratiche non coerenti. «Quando ho fatto presente che si usavano procedure non corrette – commenta la Caretta –mi sono sentita dire: ma in che mondo vivi, tu. Eppure, bisogna partire da noi stessi e credere che possiamo incidere nel sistema». Nel rapporto con gli studenti, poi, aggiunge, «dovrebbe valere la regola d’oro: tratta i tuoi studenti come vorresti che trattassero i loro pazienti. Oggi la medicina richiede una sfida nuova: non è più tempo del maestro che fonda una scuola, quasi una persona con un carisma. Oggi la complessità delle cose impone di lavorare insieme, in équipe».

 

Tante le esperienze. Michele, studente di Medicina, ha parlato della difficoltà di riuscire a “far propria la professionalità”. Una necessità, spesso molto ardua, per la quale servirebbero figure come quella del maestro di bottega: bravo, preparato, in grado di insegnare conoscenze e disposto a farlo nel modo giusto. Come un maestro di vita. Maria Teresa, studentessa del quarto anno, ha evidenziato la ritrosia di alcuni docenti nell’introdurre gli studenti ai letti dei pazienti; mentre Francesco, di Modena, ha posto l’accento sul fatto che ormai ricercatore è sinonimo di precario. Giuseppe Marzulli, invece, ha descritto le difficoltà che incontra chi, come lui, è dottorando di ricerca e si scontra con gelosie e attaccamenti, che non fanno bene alla ricerca, cercando di superarli.

 

Al centro del dibattito anche l’etica della ricerca, pure in campo farmaceutico. «Quando si fa ricerca – afferma Maria Paola Barbaro, specializzanda in Endocrinologia a Bari e membro di un laboratorio di ricerca – bisognerebbe ricordarsi per quale motivo si studiano processi molecolari e si fanno esperimenti. La ricerca deve essere fatta per l’uomo, altrimenti non serve. Spesso, invece, sono altre logiche – carrieristiche, di profitto – che guidano i ricercatori». Andare controcorrente, avere una propria etica e portarla sul posto di lavoro, è possibile, anche se è faticoso e comporta un maggiore dispendio di energia. Servirebbe onestà intellettuale: meglio una ricerca propria, fatta bene, aggiunge Barbaro, che tante pubblicazioni, magari copiate o truccate. Anche per i settori di ricerca si potrebbe fare un salto di qualità.

 

Oggi gli studiosi si occupano soprattutto delle malattie più diffuse, per le quali, tuttavia, «esistono già cure efficaci. Noi vorremmo invece maggiore attenzione verso la realizzazione di farmaci necessari per curare malattie rare o da destinare ai Paesi in via di sviluppo, nei quali si muore ancora per malattie che da noi sono state debellate». Non mancano esempi positivi. Tante organizzazioni non governative, infatti, si stanno muovendo in tal senso. «Forse è poco– conclude Barbaro – ma qualcosa si muove».

 

Il 24 ottobre sono stati affrontati invece i temi della relazione medico-paziente e i valori e la professionalità nella pratica quotidiana. Ma quanto conta il rapporto medico-paziente? «Gli scopi della medicina – spiega Teodoro Marotta, dell’Unità operativa di assistenza di base e specialistica dell’Asl Napoli 1– sono due: far vivere di più e far vivere meglio. Per raggiungere tali obiettivi la relazione tra medico e paziente è importantissima e può incidere sugli effetti delle cure. Ogni paziente è unico e, contemporaneamente, un caso clinico, cioè uguale a tutti gli altri. La medicina si muove tra questi due binari e la relazione medico paziente non può essere trascurata, altrimenti invece di far vivere meglio i malati, aumentiamo le loro sofferenze».

 

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