Nuove pagine per il popolo rom
L’incontro con Benedetto XVI, di oltre duemila zingari europei mette il dito sulle piaghe, ma spinge a trovare nuove vie di integrazione nella lealtà e nella legalità
Orhan non riesce a togliersi dalla mente l’immagine dell’Aula Nervi, di sabato scorso, vigilia di Pentecoste quando più di duemila zingari l’hanno festosamente animata. Gli risuonano nelle orecchie le parole pronunciate dal papa nella sua lingua. «Ci ha salutati in romanì, anche se leggeva su un foglio, ma è stato importante sentirlo parlare come uno di noi». Si emoziona ricordandolo e con l’entusiasmo della sua età non fa che decantare i colori, i canti, le preghiere e la gioia del suo popolo che da tutta Europa si era dato appuntamento per il 150° anniversario della nascita del primo beato rom Zefirino Gimenez Malla. Orhan è un giovane rom kosovaro. Ha 23 anni e lavora come mediatore culturale a Palermo. Insieme ad altri sei compagni si sono uniti alla carovana dei circa 70 che dalla Sicilia si sono recati a Roma per l’udienza con Benedetto XVI.
«E’ stato importante questo appuntamento con il Papa – dice con foga Orhan -, ha riscattato il nostro popolo. Lui non ci ha solo invitati, ci ha coinvolti, ci ha lasciato la nostra identità e ha mostrato al mondo che i rom sono un popolo di persone perbene». Benedetto XVI ha avuto espressioni calorose verso le comunità presenti: «Voi non siete ai margini, siete al centro, siete nel cuore, siete nella Chiesa». E ha proseguito incoraggiando i presenti a cercare la giustizia, la legalità, la riconciliazione. Non ignora i problemi, il papa, e sa bene che su questi fronti si misura anche il riconoscimento della dignità di questo popolo variegato, che ha scelto di rimanere senza patria, ma che al contempo fatica a trovare rapporti paritari con le società che lo ospita. I «disagi, i drammi, i contrasti, ma anche le forme di intolleranza che minano la dignità» sono sottolineate anche da Maria Vegliò, presidente del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti.
Certo l’udienza e la festa non risolvono i problemi quotidiani: la miseria dei campi, l’istruzione, la microcriminalità, il futuro di giovani e bambini che costituiscono più del 70% dei rom. Ecco dopo la festa di Roma e la gioia di quei giorni ritrovarci nuovamente nello stesso contesto non è facile – continua Orhan – si fa fatica, ma vogliamo non tornare indietro. Lo dobbiamo al nostro popolo e al nostro futuro». Aljsus è musulmano, ma questo non scalfisce la stima e l’apprezzamento per questo incontro: «E’ stata un’occasione bellissima, importante, di riscatto e in questo momento è quello che serve a tutti noi. Oggi i rom non sono più solo nomadi, vogliono lavorare, desiderano una casa, chiedono un futuro per i figli, ma è difficile vincere i pregiudizi e vedersi aprire le porte, quando si scopre la nostra identità». Aljsus è presidente di una squadra di calcio rom, iscritta in serie D. Sognava il pallone sin da piccolo e inseguendo quel sogno ha messo in piedi un progetto concreto, in una città, dentro un quartiere. Lui ci sta provando a scrivere quella pagina di storia nuova, che il Papa aveva auspicato durante l’udienza, per il popolo rom e per l’Europa intera.