Una nuova epidemia… di senso

Disagi, patologie, disturbi della personalità, specialmente tra i giovani. È un’epidemia generazionale? Ci sono risposte possibili?

Sebbene sia storicamente documentata, l’epidemia del ballo che nel 1518 colpì gli abitanti di Strasburgo ha tutte le caratteristiche della fiaba. E quindi della poesia. Si racconta che una certa Frau Troffea, presa da una smania improvvisa di allegria, iniziò a ballare per strada. E continuò per una settimana, ben presto seguita da centinaia di altre persone. Si scatenò una epidemia del ballo che durò più di un mese. Fino a quando i ballerini furono condotti in un santuario, rinomato per le guarigioni, e lì furono liberati dalla “peste del ballo”.

Noi abbiamo attraversato un periodo di epidemia, che non è ancora passato. Il virus che ci ha colpiti non è stato così buontempone come quello che infettò la gente di Strasburgo. Ma ora, se stiamo bene attenti, possiamo cogliere i segnali di un’altra epidemia che si sta diffondendo. Anch’essa per nulla allegra. Scrive Fulvia Capraia sulle pagine de La Stampa: «Il catalogo di disagi, patologie, disturbi della personalità, che cinema e serie espongono, ormai sempre più spesso, nelle vicende degli adolescenti e degli under-30, è talmente ampio da far pensare a un’epidemia generazionale». Purtroppo questa epidemia non si diffonde solo tra i personaggi fittizi delle serie tv, ma colpisce diversi giovani reali. Troppi.

Tra essi si sta diffondendo la costatazione di una mancanza di senso per cui vivere. «Perché mi avete messo al mondo?», chiedono diversi millennials o z-generation ai loro genitori boomers o x-generation. Tutto questo dà gran lavoro a psicoterapeuti e psichiatri, e molto dolore a tante famiglie. Si indagano le cause sociologiche, che ovviamente qui neppure ci sogniamo di affrontare. Ma una domanda ce la possiamo fare.

La religione può fare qualcosa per arginare questa epidemia? Probabilmente sì. Ma solo se dà il meglio di sé. Se sfodera quello che è il suo contributo specifico. Il teologo valdese Paolo Ricca, in un recente libro dall’emblematico titolo Dio (Claudiana 2022), scrive che oggi la religione cattolica e quelle protestanti «parlano di migranti da accogliere, di diritti umani da rispettare, di habitat naturale da proteggere, di libertà religiosa da garantire, di fraternità umana da praticare (tutte cose – beninteso – sacrosante, senz’altro da perseguire), ma parlano poco di Dio, come se temessero di non essere ascoltate, o anche, più probabilmente, non sapessero cosa dire di Dio».

Chi si rifà a una religione, insomma, oltre a realizzare azioni caritative e sociali, dovrebbe riuscire a comunicare qual è il senso che la muove a fare queste attività. Cioè Dio. Anche il senso può diventare contagioso. Per contrastare la nuova epidemia giovanile di depressione, che non sia il momento di scatenare una contro-epidemia gioiosa, non di ballo questa volta, ma di senso?

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