Nuova Costruttività e “cultura dinontorganica”
Collegandosi al sito www.dinontorganico.it si può avere una prima idea dell’Associazione “Nuova Costruttività” e dell’ampia proposta culturale – chiamata anche “realismo dinamico” – che si ispira alla riflessione e all’opera di Tommaso Demaria (1908-1996), teologo e filosofo salesiano del Novecento, il quale, sebbene non sia ancora sufficientemente conosciuto nell’attuale panorama culturale contemporaneo, suscita grande interesse, come testimoniano gli studi sul suo pensiero1.
Abbiamo raccolto due testimonianze: la prima, del dott. Nicola Mele, Presidente dell’Associazione “Nuova Costruttività”; la seconda, del dott. Roberto Roggero, una delle persone che più hanno fatto tesoro di questo insegnamento, non solo nel campo della riflessione teoretica, ma anche nella operatività quotidiana in vari campi (famiglia, lavoro, parrocchia…).
Va detto anzitutto che la parola “dinontorganico” viene intesa come la sintesi dei concetti di dinamico-ontologico-organico, espressiva dunque di una riflessione che intende andare alla profondità della realtà (ontologico) per coglierla nei suoi dinamismi intrinseci (dinamico), che a loro volta rivelano una dimensione “organica”, di “vita” che si attua secondo la logica del dono, del “vivere per”.
Così “si racconta” N. Mele:
“L’incontro fra la mia esperienza lavorativa e don Demaria è avvenuto, si può dire, al momento giusto, grazie ad un salesiano che avevo conosciuto, don Nicola Palmisano, e alle proficue chiacchierate che ci hanno accompagnato nelle sere tranquille di qualche anno fa. Le basi per il mio futuro lavorativo e le aziende che poi da queste sono conseguite nascono molto prima, quando, grazie alla mia famiglia che me ne ha dato la possibilità e al mio faticoso impegno di studio, ho potuto conseguire la laurea in informatica, in tempi in cui ancora si scrivevano le lettere per comunicare.
Si può dire che feci una scelta azzardata… ma fortunata. Forse praticavo già, senza esserne consapevole, alcuni dei verbi ‘dinontorganici’ che poi avrei trovato indicati nell’insegnamento di Demaria: rischiare, ascoltare, sfidarsi, collaborare. Forse grazie alla mia tenacia e alla volontà di riuscire, nonché a condizioni ambientali favorevoli – dopo alcuni anni di lavoro dipendente e un tentativo non particolarmente fortunato di esperienza societaria – ho fondato con altri collaboratori l’Oa Sistemi, che è stato il perno da cui poi si sono sviluppate le altre aziende.
A volte si pensa che essere un dirigente di azienda comporti solo benefici e ricchezza. Indubbiamente, se si è fortunati e intelligenti questi due aspetti non mancano. Tuttavia, essere un dirigente, comporta essenzialmente una responsabilità nei confronti della crescita dell’azienda stessa, nei confronti dei dipendenti, e la capacità di gestire un potere e capitale economico che non è assicurato per sempre.
Ad un certo punto della mia esperienza lavorativa, quando finalmente ho cominciato a vedere i primi frutti, la mia strada si è incrociata con quella di don Nicola Palmisano e don Demaria. Essi spesso facevano riferimento agli scritti di san Paolo nei loro dialoghi, specie all’immagine dell’organismo vivo che egli usa per descrivere la Chiesa, corpo mistico di Cristo. E cominciavo a pensare che quella immagine potesse andar bene anche per altre realtà!
Non è facile per un cristiano conciliare in maniera concreta e veritiera i principi cristiani, quando nella realtà sociale predomina una ‘visione’ della vita completamente opposta. Io ero in ricerca, avevo bisogno di comprendere come vivere la realtà cristiana nel mio quotidiano, nel mio lavoro che essenzialmente consisteva nel garantire ai miei dipendenti, ma anche a me stesso, il sostentamento della mia famiglia. E, cosa ancora più difficile, dovevo comprendere come gestire le risorse economiche alla luce della verità cristiana.
Quello che sentivo abitualmente non mi convinceva, o meglio non mi dava la risposta che cercavo. Con la proposta del pensiero ‘dinontorganico’ credo ora di averla trovata, e sto cercando di metterla in pratica. Prima di tutto ho potuto considerare l’azienda come un ente dinamico, un organismo vivente, fatto di persone e del lavoro di queste persone, ma la cui vita in qualche modo va al di là di esse.
Mi spiego meglio: come in ogni organismo anche nell’azienda ogni persona e il ruolo che essa svolge è di primaria importanza, dalla segretaria al manager; come ogni organismo anche un azienda può avere momenti di benessere totale e altri in cui si manifestano debolezze, malattie, anche un’azienda può morire.
Una volta che è chiaro questo, il compito fondamentale dell’amministratore e di ogni dipendente è che l’azienda goda di un sufficiente stato di benessere e che la conseguenza di questo benessere sia a beneficio di tutti. Il fatto di considerare questo aspetto significa in termini economici essenzialmente non appropriarsi individualmente di tutti gli utili societari, ma condividerli o investirli in nuove mete, in nuove imprese.
E non è forse questa una delle traduzioni possibili di uno dei passi fondamentali del Padre Nostro: ‘dacci oggi il nostro pane quotidiano’? Il ‘nostro’. Non solo dell’amministratore unico, ma anche degli altri. Inoltre, considerare l’azienda un organismo dinamico, significa anche fare bene attenzione che ogni singolo sia ben integrato nell’azienda e goda di una sufficientemente adeguata realizzazione, in quanto se anche una sola delle cellule dell’organismo è malata, ne risente tutto l’essere.
I frutti di questo pensiero sono ambienti di lavoro a misura di persona, basati sull’impegno ma anche sul rispetto dei singoli, un clima aziendale favorevole allo scambio di idee, alla crescita, alla garanzia di un salario, al rispetto della persona. Il fatto di reinvestire gli utili per dare vita ad altre aziende significa uno yacht in meno per me – a dire il vero non ne avverto l’esigenza – e possibilità di lavoro in più per i più giovani.
Sono essenzialmente i giovani quelli su cui infatti preferisco scommettere, di cui preferisco fidarmi, a cui si cerca di dare un futuro più o meno adeguato in una realtà storica che si fa palesemente più difficile. È sotto gli occhi di tutti la situazione critica dell’economia, dai problemi legati alla recessione in atto alla sperequata distribuzione delle risorse e delle possibilità. Attualmente i giovani lavoratori impiegati nelle mie aziende sono numerosi, di cui diversi sono amministratori.
L’incontro con don Demaria mi ha permesso di ispirarmi ad una prassi operativa non solo personale, ma anche propria delle aziende ‘dinontorganiche’, cercando di coniugare sempre meglio i seguenti verbi: appartenere, ascoltare, collaborare, fidarsi, integrare, rischiare, sincronizzarsi, sintonizzarsi, sfidarsi.
Non rientra fra questi verbi quello di accumulare ad ogni costo capitale, a discapito di tutto e tutti. Eppure, attraverso lo sforzo coordinato di ogni singolo membro dell’azienda, si vedono risultati anche in questo campo. Per lo meno, in questo momento particolare di crisi, si vive. Ritengo che questi siano i primi frutti di un tentativo relativamente giovane che vuole fare del pensiero dinontorganico una prassi.
Tuttavia, è un’esperienza ancora fresca, e perché si possa considerare obbiettivamente un successo, ci vorranno tempi molto lunghi, in quanto un modello dinontorganico di azienda può funzionare perfettamente in una realtà socio-economica dinontorganica. Al momento questa condizione non c’è, ma vale la pena rischiare e sfidarsi, proponendosi mete ambiziose.
Perché la vera forza di cambiamento consiste nell’avere una leva e il pensiero dinotorganico può essere, secondo me, quella leva che permetterà alla nostra società, così dissacrata e dissacrante, di riscoprire il lato sacro dell’esistenza e della cristianità.
Forse non sarà così, ma un tentativo va fatto, perché al momento non ho conoscenza di un’altra filosofia altrettanto convincente, né di un altro modello d’azienda. Decidere di fare un tentativo, scommettere, in realtà è già un primo frutto”. Così conclude N. Mele, che ci confida tra l’altro di essere a conoscenza diretta di diverse realtà appartenenti all’Economia di Comunione2, e di percepire chiaramente la notevole vicinanza e consonanza di queste prospettive.
È davvero interessante notare come questa esperienza, che riguarda il mondo del lavoro e dell’economia d’impresa, abbia trovato alla sua sorgente l’opzione fatta da T. Demaria di ispirarsi alla “teologia paolina del Corpo”, attraverso l’immagine dell’organismo dinamico che viene associato alla Chiesa nel famoso brano della prima lettera ai Corinzi dove si afferma che siamo parti di un unico corpo, “come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo”, e che agiamo come un unico corpo, “vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti” (cf. 12, 6-13; anche 1 Cor 15, 22-28; Ef 1, 21-23; Fil 2, 9-11).
Demaria voleva che questa profonda verità “paolina”fosse rimessa fortemente al centro anche dei programmi pastorali e della riflessione sulla stessa vita sociale. Così commenta R. Roggero:
“Come ci ha ricordato Benedetto XVI a Ratisbona, Dio agisce σὺν λόγω, ‘con logos’. ‘Logos’ significa insieme ragione e parola, una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi, appunto, come ragione. La ‘riscoperta’ di questa dimensione ‘razionale’ di Dio mi sembra che oggi possa rappresentare, sulla scia dell’evangelizzazione che l’Apostolo Paolo offrì come modello nel suo discorso all’areopago di Atene, lo strumento per portare Dio ‘dal cielo alla terra’, da razionalità a pane quotidiano.
Ci troviamo in una situazione molto favorevole a questo passaggio. L’esplosione della rivoluzione industriale ha messo a nudo la necessità del mondo di vivere in simbiosi con l’economia e le sue logiche costruttive; la necessità di globalizzazione, intesa come necessità di sviluppare logiche costruttive valide per tutto il mondo; la necessità propria di questa ‘globalizzazione delle regole’ di avere un riferimento assoluto che ne consenta lo sviluppo coordinato.
Non si tratta di richieste che partono dal mondo cristiano. Queste tre caratteristiche sono la principale richiesta del mondo profano e non valgono solo per l’intera umanità in generale, ma si infiltrano in ogni più piccola espressione della società umana. Anche la squadretta di calcio dell’oratorio deve fare i conti con il costo del campionato, deve scegliere il modo di giocare di ciascuno, deve finalizzare il gioco di ciascuno ad un obbiettivo comune.
Grazie anche alla presenza di questa richiesta urgente ed incessante di logiche costruttive realmente funzionanti, Cristo-Logos può oggi ‘scendere dal cielo’ anche in questo mondo profano del quale siamo solo lievito, però inutile, se non agiamo come tale. Egli ‘entra’ come ‘razionalità creatrice’ (Logos) che passa anche attraverso l’agire dell’umanità, la vita di un corpo in comunione.
Praticamente si tratta allora di riconoscerci anzitutto come Corpo Mistico, progettare e operare quotidianamente sulle strutture dell’agire sociale in cui siamo immersi, perché avvengano tre cose: l’assunzione del Logos-razionalità come riferimento assoluto; la derivazione da questo principio delle ‘nuove regole’ costruttive; l’utilizzazione di questo Logos per vivere la simbiosi anche con l’economia. Come già rilevato si tratta di un’attività alla nostra portata, perché le strutture possono essere presenti dappertutto, da quelle che regolano i massimi sistemi sino alle microstrutture parrocchiali”.
Così conclude Roggero:
“Come riuscire? Il seme è già dentro il mondo e consiste proprio nella sua necessità di funzionare. Questo funzionamento ‘di qualità’ è possibile solo quando le ‘strutture dell’agire’ assumono il Logos-Razionalità della Vita come propria anima e fondamento. Proprio perché funziona meglio, ma molto meglio, questo modo di costruire ‘strutture dell’agire’ risulta più economico per un’azienda, la struttura base dell’economia industriale a cui siamo indissolubilmente legati.
Si tratta di un fatto di eccezionale importanza perché questa caratteristica di ‘economicità vera’ può guidare quell’economia globalizzata che ci è necessaria e dalla quale non possiamo tornare indietro. Sta a noi, Corpo Mistico che Gli appartiene e conosce Gesù anche in quanto ‘razionalità’, svelarlo e proporlo dovunque, introducendolo progressivamente a partire dalle nostre realtà, famiglie, aziende.
Sta a noi essere lucerna. Quando iniziare? Non occorre aspettare, lo possiamo fare da oggi. Stiamo vivendo cambiamenti ad una rapidità che il mondo non ha mai visto… ‘cavalchiamoli’ con ‘il Nome che è al di sopra di ogni altro Nome’”.
1 Cf., p.e., G. Tacconi, La persona e oltre. Soggettività personale e soggettività ecclesiale nel contesto del pensiero di Tommaso Demaria, Las, Roma 1996.
2 L’Economia di Comunione (EdC) è un progetto di imprenditori, lavoratori, dirigenti, consumatori, risparmiatori, cittadini, studiosi, operatori economici, lanciato da Chiara Lubich nel Maggio del 1991 a San Paolo in Brasile, allo scopo di costruire e mostrare una società umana dove, ad imitazione della prima comunità di Gerusalemme, “nessuno tra loro è indigente”. Le imprese sono l’asse portante del progetto. Queste si impegnano liberamente a mettere in comunione i profitti secondo tre scopi e con pari attenzione: aiutare le persone svantaggiate, creando nuovi posti di lavoro e sovvenendo ai bisogni di prima necessità, dando vita a dei progetti di sviluppo iniziando da quanti condividono lo spirito che anima il progetto; diffondere la "cultura del dare" e della reciprocità, senza la quale non è possibile realizzare un’ Economia di Comunione; sviluppare l’impresa, che deve restare efficiente e competitiva pur se aperta alla gratuità (www.edc-online.org).