“Nuova” Alitalia, progetto incerto
L’esultanza mostrata da alcuni esponenti del Governo di fronte alla notizia di qualche giorno fa, relativa all’accordo raggiunto per la composizione del gruppo di intervento per il salvataggio di Alitalia, appare del tutto fuori luogo; e questo per almeno per due ragioni.
Dobbiamo preliminarmente ricordare che la nuova compagine societaria dovrebbe essere costituita da Ferrovie dello Stato, con il 35% del capitale totale (che dovrebbe aggirarsi sul miliardo di euro), Ministero del Tesoro, con il 15% ( i due attori pubblici avrebbero il controllo della compagnia), Delta (società aerea statunitense), con il 15%, e infine, con il 35%, Atlantia, il gruppo autostradale controllato dalla famiglia Benetton, che ha già partecipato ai due precedenti (e fallimentari) tentativi di salvataggio.
Bisogna, intanto, sottolineare che si tratta di una cordata solo potenziale, che non ha ancora preso nessun impegno concreto, impegno che si materializzerebbe invece solo dopo l’approvazione del piano industriale per la compagnia, entro circa due mesi. Non è detto, in effetti, che alla fine del percorso si dia effettivamente il via al progetto.
Il gruppo poi delle società che dovrebbe intervenire presenta diversi problemi: le Ferrovie sono oggettivamente interessate a sottrarre clienti alla compagnia sulle tratte interne, la società Delta si trova in conflitto di interessi sulle rotte atlantiche e anche su quelle asiatiche, mentre Atlantia è stata presumibilmente tirata dentro la partita forse solo con il ricatto delle concessioni autostradali.
Così, nessuno dei soci sembra avere una forte motivazione al successo di lungo termine del progetto. Vista la cosa da un altro punto di vista, manca nella compagine un socio industriale, esperto del settore, da porre ai comandi, debolezza fondamentale del piano di salvataggio.
Bisogna poi ricordare che, in ogni caso, tale compagine, date alcune premesse di base contenute nel tentativo del Governo di salvare la compagnia, potrebbe non riuscire a varare un progetto capace di portare risultati soddisfacenti.
In effetti, l’idea del governo di far decollare un’azienda aerea nazionale, autonoma dai grandi gruppi, appare sbagliata alla radice, dal momento che appare difficilissimo restare a lungo a galla in Europa per una compagnia di modeste dimensioni e senza grandi risorse finanziarie.
Il campo è occupato da una parte da alcuni grandi gruppi, dall’altra da due compagnie low-cost e in più registra una lotta competitiva molto dura tra le varie imprese. Solo la presa in carico da parte di una grande società del settore potrebbe forse permettere di arrivare ad una conclusione positiva.
Il contesto di mercato e la posizione di Alitalia
Ricordiamo che le condizioni del mercato hanno già portato sia quello statunitense che quello cinese (i due più importanti al mondo) ad essere dominati da pochissimi gruppi, mentre in Europa il processo di consolidamento è ancora in ritardo, ma sta marciando inesorabilmente e a grandi passi nella stessa direzione.
I numeri attuali vedono Alitalia posizionarsi nel settore nel 2018 con 21,3 milioni di passeggeri trasportati, un fatturato di circa 3 miliardi di euro e una perdita che si aggira sui 500 milioni di euro. Ricordiamo che la stessa società controlla oggi in Europa una quota di mercato inferiore al 2%, mentre in Italia si è fatta scavalcare sia da EasyJet che da Ryanair e la sua presenza negli altri continenti è pressoché inesistente.
Per fare solo qualche confronto, ricordiamo che nei primi sei mesi del 2019 Ryanair ha trasportato 72,6 milioni di passeggeri, contro i 68,9 milioni della Lufthansa, i 55,8 della IAG (British Airways e Iberia), i 50,47 di AirFrance-KLM, i 45,3 di Easyjet e i (soli) 10,1 di Alitalia!
Il piano industriale
Nessuno sembra sapere quale dovrebbe essere il piano industriale. Certo, Fs e Delta hanno messo a punto un progetto di piano 2018-2023 che prevede al 2023 un modesto incremento dei ricavi (3,6 miliardi di euro contro i 3,1 miliardi del 2018), un risultato operativo con un modesto utile, una riduzione nel numero degli aerei (la Nuova Alitalia dal primo gennaio 2020 avrebbe 102 aerei, 15 in meno rispetto agli attuali 117, mentre la flotta dovrebbe risalire un po’ nel 2023, fino a 109 aerei) e una diminuzione relativamente modesta del numero degli occupati (ma su questo fronte si preferisce sorvolare).
Come tutti i piani, esso si chiude alla fine con numeri positivi, che appaiono scarsamente credibili in mancanza, tra l’altro, di un’analisi dei fattori di rischio che potrebbero manifestarsi nel tempo e di come essi dovrebbero essere affrontati, in presenza poi di un quadro finanziario non certo entusiasmante.
Tale piano è stato comunque messo in discussione dall’arrivo di Atlantia, che ha chiesto profonde modifiche allo stesso. Alla società dei Benetton, tra l’altro, non va a genio che si riducano le rotte atlantiche e si faccia poco per quelle verso l’Asia, il mercato in maggiore espansione al mondo, cosa che fa comodo a Delta e d Air-France-KLM. Sempre Atlantia pensa poi che i tagli di personale previsti siano, ahimè, insufficienti.
Bisogna ricordare, a questo punto, che esiste un progetto alternativo sul futuro della compagnia, quello di Lufthansa, che si è offerta di rilevare la maggior parte degli asset, ma con una forte riduzione nel numero degli aerei e un altrettanto forte taglio del personale. Di recente la società ha fatto intravedere la possibilità di migliorare in qualche modo l’offerta, ma la reazione sia del governo che dei sindacati, preoccupati del pesante ridimensionamento nel numero degli occupati, non sembra favorevole. Eppure quello della compagnia tedesca, pur con la sua durezza, appare l’unico progetto che presenti in qualche modo uno sbocco sicuro.
Conclusioni
È facile prevedere che anche se la nuova compagine si trovasse, alla fine, d’accordo nel varare un piano di salvataggio, i risultati, date le premesse, arriverebbero difficilmente. Sono troppi i fattori che sembrano contrari. Rischiamo quindi di trovarci magari tra un anno a discutere ancora una volta della crisi di Alitalia.
Non si tratta di essere ostili, in generale, all’intervento pubblico in economia, ma questo è uno di quei casi in cui «la materia è sorda all’intenzion dell’arte». Meglio forse sarebbe, come governo, affidarsi alla Lufthansa e trovare poi il modo di far fronte ai problemi occupazionali che ne deriverebbero.