Nulla come prima
La Dakar e una moto. Profumi e odori. Sabbia e motori, “cotti” dai fuorigiri. Bivacchi nel deserto, olio bruciato. Esserci è un buon inizio, arrivare in fondo già qualcosa. Vincere è quasi tutto. Quasi. Nicola Dutto, 48 anni, nato a Torino, cresciuto a Limone Piemonte, rimarrà per sempre nella leggenda della Dakar: anche lui primo.
Senza vittorie, ma con un record. 6 gennaio 2019: primo pilota paraplegico al via in sella a una moto. In fondo è la strada che conta o, meglio, il fuoristrada perché da queste parti i piloti «sono abituati ad affrontare e superare ostacoli e imprevisti». A tre anni Nicola ha già gli sci ai piedi. Introverso, ma con una voglia matta di vivere a contatto con la natura. A 17 anni è in palestra e questa volta lo sci non c’entra.
Arti marziali: jujutsu per 10 anni fino ai 27. Durante l’estate si lavora, non per studiare da campione, ma per mettere da parte i soldi per comprare la prima moto. Amore, passione, conquista. «La moto non era la benvenuta in famiglia e così me la sono dovuta conquistare». A 20 anni arriva il lavoro vero. In concessionaria. Moto, manco a dirlo, in officina per la precisione, ad imparare il mestiere perché «nel fuoristrada non devi essere solo un buon pilota, ma anche un bravo meccanico». Il titolare è Roberto Boano, uno che a Dakar ci è arrivato sul serio per ben 5 volte in sella all’indimenticabile Africa Twin prima del trasferimento del rally in Sud America. I figli di Roberto, Jarno e Ivan, corrono le gare Enduro. Nicola trova la sua “famiglia sportiva” e apre il gas. Per passione e professione così arriva il grande salto. «Ad inizio degli anni 2000 mollo tutto e vado in Spagna per cimentarmi nei “baja rally”, competizioni cross-country a lunga percorrenza. È amore a prima vista».
Sei anni tra Madrid e Valencia, poi un’esperienza oltreoceano: Messico e Stati Uniti per raggiungere la maturità. Ritorno trionfale nel vecchio continente: campione europeo e italiano categoria “baja” nel 2008 e nel 2009. Il 20 marzo 2010, durante la Baja Italy, Nicola è lanciato sullo sterrato a 150 km/h. Succede tutto in un attimo: caduta, impatto rovinoso a terra. Buio. «Dopo aver ripreso coscienza, ho capito subito che qualcosa non andava. Di solito sono i medici a darti la cattiva notizia, invece sono stato io a dire agli altri che “non sentivo più le gambe”. Vieni catapultato in un mondo che non conosci». Dieci ore in sala operatoria, 4 trasfusioni. Il secondo risveglio dopo tre giorni.
«Prima capisci che nulla sarà come prima e meglio è. Chi corre nel fuoristrada è abituato ad affrontare ostacoli e imprevisti. Non ho fatto altro che applicare questa filosofia durante i 9 mesi di ricovero in unità spinale e nella vita di tutti i giorni. Il primo obiettivo è stato uscire dall’ospedale e spingere la carrozzina per andare a mangiare una bistecca». Fino al ritorno alle competizioni. Fino al progetto Dakar 2019. Nicola prende il via accompagnato da tre avversari-amici pronti ad aiutarlo in caso d’emergenza: Julián Villarrubia, Pablo Toral e Victor Rivera. «Nei rally corri contro il tempo e, se qualcosa non va per il verso giusto, il primo a sopraggiungere è un tuo avversario. L’amicizia tra piloti è la naturale conseguenza della competizione».