Novanta minuti a Kabul
Da queste parti gli stadi li riempivano di sangue fino a qualche anno fa. Al tempo dei talebani non esistevano atleti e spettatori al Gazhi Stadium di Kabul. Il calcio non era messo al bando, ma l’unico spettacolo previsto era quello della morte. Il calcio era quello del fucile. Non importava se eri infedele o disertore, qui si entrava per non uscire. Biglietto di sola andata: mutilazioni, esecuzioni collettive, torture, la regola del gioco era solo una: soccombere.
Oggi il feroce regime dei talebani non governa più il paese, anche se l’Afghanistan vive un perenne stato di allerta, mentre fiorisce la coltivazione dei papaveri da oppio. Il ritorno alla normalità è lento ed inarrestabile come l’alba di un nuovo giorno.
A Kabul, oltre al Gazhi Stadium è stato costruito un nuovo impianto in erba sintetica grazie al contributo della FIFA (Fédération Internationale de Football Association): l’Afghanistan Football Federation Stadium, situato all’interno del quartier generale della federcalcio locale anch’esso in fase di ristrutturazione sempre grazie ai contributi della FIFA. Qui giovedì prenderà il via l’Afghan Premier League, il massimo campionato di calcio della nazione. Un nuovo campo da gioco a Kabul vuol dire nuove possibilità, senza dimenticare e per non dimenticare lo stadio di Gazhi, gli orrori e i conflitti del passato. Andare avanti guardando indietro.
I 6 mila posti a sedere dell’Afghanistan Football Federation Stadium sono tutti targati speranza e ieri pomeriggio hanno fatto registrare il tutto esaurito per celebrare un evento che è entrato per sempre nella storia della così detta “diplomazia del pallone”, ovvero quando il calcio non è solo un gioco, ma trascende i confini della politica, della storia e delle religioni, tessendo silenziosamente la tela della relazione. Afghanistan-Pakistan, l’hanno ribattezzata “the friendship match”, la partita dell’amicizia e non poteva essere altrimenti.
A Kabul, dopo dieci anni di digiuno è tornata a disputarsi una partita ufficiale. L’ultimo precedente risaliva al 23 novembre 2003: Afghanistan-Turkmenistan 0-2. Poi più nulla. Per spezzare il silenzio c’era bisogno di un grande evento. Detto, fatto. La storia ci insegna infatti che i rapporti tra Afghanistan e Pakistan non sono mai stati idilliaci. A partire dal 1946, quando l’inglese sir Mortimer Durand, segretario degli esteri dell’Impero Anglo-Indiano tracciò la “linea Durand” dichiarando il confine tra i due paesi e aprendo così una infinita contesa sui territori e sulla città di Peshawar. Fino ad arrivare ai giorni nostri, dove i rispettivi governi finiscono spesso per punzecchiarsi a vicenda, con l’accusa di offrire importanti aiuti e coperture alle organizzazioni terroristiche internazionali.
Per questo Afghanistan-Pakistan non poteva essere una semplice partita di calcio, come dichiarato alla vigilia dalle parole del CT della nazionale di casa Yousuf Kargar: «L’obiettivo principale è quello di costruire una buona relazione con il Pakistan»,al punto che a dicembre si replica, ma questa volta sarà il Pakistan ad ospitare gli afghani a Lahore.
Poco importa allora se le squadre si trovano rispettivamente al 139° e 167° posto del ranking internazionale della FIFA. Poco importa se ha vinto l’Afghanistan 3 a 0. In campo e sugli spalti è scoppiata la festa, altro che fumogeni e insulti razzisti. A Kabul ha vinto lo sport, quello vero. Forse da queste parti non bastano novanta minuti per cancellare il passato, ma di sicuro sono sufficienti per capire che una nuova via è possibile.
Gianni Brera diceva che “il gioco del calcio è una sorta di mistero agonistico”. Pare che dentro ai palloni rotondi abiti la magica regola non scritta della relazione: “per giocare ho bisogno di te”. Non tutto si può spiegare e non tutto può essere spiegato a parole, ma di sicuro c’è un paradigma universale che abbatte confini e differenze a qualsiasi latitudine quando si tratta di dare quattro calci al pallone.
Scriveva così il filosofo francese Auguste Comte: “Le leggi logiche che alla fine governano il mondo sono per loro natura essenzialmente invariabili e comuni, non soltanto per tutti i tempi e i luoghi, ma anche per tutti i soggetti di qualsiasi genere senza alcuna distinzione”. Non importa allora se la palla rotola sul manto erboso della polisportiva o sulla grezza sabbia di Kabul. Il pallone ci riduce tutti al minimo comune denominatore e la bellezza del calcio viene elevata al quadrato.