Notte del sindacato e ritorno alle origini

La crisi di vitalità dei partiti storici mette in evidenza la lunga transizione delle organizzazioni sociali. Come il sindacato che sta attraversando la sua notte. Difficoltà a rappresentare i lavoratori, lotte di potere e scandali. La necessaria riscoperta della vocazione originaria
sindacato ansa

I risultati delle elezioni comunali mettono in evidenza la crisi forse irreversibile di tante organizzazioni di massa come i partiti. Anche il sindacato sembra seguirne lo stesso destino.

 

Per tanti che ogni giorno portano avanti con impegno e dedizione il proprio impegno di servizio è venuto il tempo di affrontare la crisi di fiducia e di rappresentanza che si accompagna al distacco dei lavoratori, soprattutto giovani e dalla gente.

L'immagine che sembra prevalere è quella di un  sindacato senza slanci , senza grandi idee e orizzonti, autoreferenziale e che appare sempre più in ritardo sui processi della storia e sulle vicende che coinvolgono il mondo del lavoro.

La vita interna alle organizzioni sindacali racconta di regolamenti di conti interni  una competitività dentro e fra i sindacati che sembrano più interessati a contendersi i pochi rimasugli di rappresentanza rimasti piuttosto che dare una svolta e voce al mondo del lavoro.

E questo è  particolarmente significativo se si ricorda che i momenti più luminosi, più progettuali, più creativi e proposte politiche di avanguardia, hanno coinciso in passato con una fortissima tensione unitaria, (anche se non mancavano forti dialettiche culturali ed ideologiche).

 

 In questo momento appare chiaro come le soluzioni o comunque le piste di lavoro sono globali e non nazionali mentre spesso si assiste a ripiegamenti di nicchia, a difese dello status quo degli ultimi margini di diritti e di welfare disponibili per sempre meno lavoratori, d'altronde un diritto, anche il più sacrosanto, se appartiene a pochi diviene spesso un privilegio.

 

Si formano così e si intravedono forti tensioni generazionali e tra lavoratori e l’insorgere di possibili degenerazioni anche etniche e conflitti tra poveri, con la perdita incommensurabile e irrimediabile di valore e di azione della solidarietà.

Il sindacato sembra più interessato, occupato, arroccato a difendere e tutelare i propri iscritti e sembra aver rinunciato a rappresentare e dare voce al lavoro nelle forme attuali: precario, destabilizzato, alle partite iva, ai titolari di prestazioni occasionali pagati con i voucher, ai disoccupati, agli immigrati, ecc. 

 

Alcune vicende recenti come la denuncia del dossier Scandola sulle eccessive retribuzioni di alcuni sindacalisti hanno messo ijn evidenza un disagio crescente negli stessi iscritti e dirigenti sindacali. Lo stesso bisogna dire sul l’uso delle risorse, i possibili conflitti di interesse e non solo che  rivelano una questione morale che non  è solo una questione di trasparenza.

 

Il sindacato ha spesso sollevato il problema della retribuzione dei manager e delle figure apicali nelle aziende ma non si pensa che forse sarebbe giusto e credibile per il sindacalista rapportarsi a quella della media dei lavoratori, (considerando, ad esempio, anche i non rinnovi dei contratti, le casse integrazioni e le forme di retribuzione meno tutelate,…) introducendo alcuni parametri di riferimento che parta proprio da questi?

 

 

Un tempo si riteneva che essere "sindacalista" non fosse una professione ma una "vocazione". Al sindacalista è sicuramente richiesta la massima professionalità ma non che si trasformi in un "professionista", ritrovare e ritornare alle intuizioni originarie del progetto, senza farsi strumento di interessi, pur legittimi, di parte; la lotta alla corruzione comincia proprio di lì e da noi stessi, facendo prevalere sempre il primato della coscienza e il diritto naturale della gente e dei lavoratori, tutti, sugli interessi di parte, senza distinzione di appartenenza anche sulle esigenze di organizzazione e sulla visibilità.

 

Da queste scelte comincia la lotta a quella "cultura" che io chiamo "mafiosità"  e che crea il terreno dove può crescere la mala pianta delle mafie ma anche la "corruzione politica, istituzionale, economica e d'impresa" , là dove un diritto naturale come quello al lavoro a una vita dignitosa,  alla salute, alla scuola, alla casa, all'accoglienza ecc.. viene elargito come favore o anche semplice amicizia, o come conseguenza magari di un "iscrizione" sindacale e acquistato come welfare delegato dal pubblico al privato sindacale o peggio di un voto, lì penso comincia la "corruzione" delle coscienze.

 

Stefano Biondi è, con Antonella Galluzzi, il referente del movimento di cultura sindacale Made in the world

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