Notre Dame e la fragilità dell’arte
Un trauma vissuto in diretta da tutto il mondo: è successo quando l’incendio ha devastato la chiesa-simbolo di Parigi, della Francia e patrimonio dell’umanità. Preghiere, lacrime, sbigottimento. La violenza delle fiamme, la realtà di un disastro che sembrerebbe evitabile ai nostri giorni così “civilizzati”, ed invece accade. Come è accaduto a Venezia al Teatro La Fenice o a Torino alla cupola del Guarini o agli affreschi nella basilica di san Francesco ad Assisi. L’arte è fragile: ci si pensa così poco. Poi basta una sciagura e gli occhi della mente si aprono al fatto che la bellezza è un patrimonio da conservare. Da parte di tutti, nell’era del mordi-e-fuggi turistico dal Louvre al Vaticano ed anche dell’incoscienza sul valore della cultura da parte di certi governi.
Vittorio Sgarbi nei giorni scorsi ha detto quello che molti poi hanno ribattuto, per consolarsi: la cattedrale si ricostruirà come prima, così com’era. Del resto, artisticamente, in parte è “un falso”. Vero, ma che cinismo, in quel momento.
Certo, la cattedrale ne ha viste tante nella sua lunga storia. Costruita sul sito di un tempio romano a partire dal 1159, ha visto incoronazioni reali e imperiali. Durante la Rivoluzione nel 1793 è stata saccheggiata, le statue dei santi distrutte perché scambiate per quelle dei re francesi, trasformata da Robespierre in tempio della Dea Ragione. Napoleone nel 1804 per farsi incoronare dal papa Pio VII ha dovuto inventarsi una scenografia di cartapesta, tante erano state le distruzioni. Così negli anni Quaranta dell’Ottocento è nata la bellissima guglia – crollata sotto gli occhi del mondo – e c’è stato il restauro goticizzante dell’architetto Viollet-le-Duc. Alcune bellezze originali sono rimaste: il portale della Vergine del XIII secolo, gli archi rampanti nell’abside, alcune vetrate, il rosone meridionale alto 13 metri con la figura centrale di Cristo.
A PArigi Notre Dame era ed è una presenza. Non solo un luogo turistico, ma un tempio dove si prega. Ne ho fatto più volte l’esperienza, quando la gente c’è e quando non c’è. Sotto le volte altissime, scende l’ora della spiritualità in questa chiesa che è la cattedrale dei cattolici.
Ora dopo le lacrime, la confusione, le polemiche, gli interventi non sempre appropriati di alcuni politici amanti della scena, rimane il grande monumento dal cuore spezzato, che vive la sua “passione”. Ma non distrutto. L’episodio, per chi vuol vedere, suona come un avvertimento. L’arte va salvata, difesa, non è eterna. Lasciarla alla superficialità, all’incuria, può essere fatale. Le lacrime della gente fanno vedere che abbiamo bisogno di simboli, che siano porte verso l’immortalità a cui ciascuno in fondo al cuore aspira. Le persone non badano ora se Notre Dame sia o meno un falso storico, sentono una ferita aperta nell’anima, la bellezza violata dentro ciascuno di noi. Davanti al rogo, che è una morte, si aspetta una speranza di resurrezione. Non solo dell’edificio, ma dal dolore che si è provato e che è diventato universale. E una coscienza nuova: l’arte è di tutti, tutti dobbiamo lasciarla vivere.