Notre-Dame in fiamme, come una volta

Spaventoso rogo nella parte sommitale della cattedrale di Parigi. Uno dei massimi simboli della capitale in cenere, tra rimpianti e ricordi
AP Photo/Thibault Camus

Centinaia di vigili del fuoco sono intervenuti tra il 15 e il 16 aprile per estinguere l’incendio che ha devastato la cattedrale parigina. Fiamme scoppiate d’improvviso verso le 18.50 dalle impalcature di uno dei tanti necessari restauri, sotto gli occhi di parigini e di turisti sconvolti dall’evento. Circa un’ora più tardi la torre lignea centrale è collassata su sé stessa. «Due terzi del tetto di Notre-Dame sono stati devastati», ha detto sconsolato il generale Jean-Claude Gallet, comandante della brigata dei vigili del fuoco di Parigi.

Naturalmente, assieme ai curiosi, anche le autorità sono intervenute, a cominciare dal presidente della Repubblica, Emmanuel Macron, che ha rinviato il suo discorso alla nazione di 24 ore, e come previsto da molti ha annunciato sul posto il lancio di una sottoscrizione nazionale per ricostruire Notre-Dame. La procura ha aperto un’indagine preliminare, affidata alla direzione regionale della polizia giudiziaria, per «distruzione involontaria per incendio». Inchiesta che si annuncia estremamente difficile.

Dal mondo intero sono arrivate dichiarazioni di solidarietà. Spicca quella dei due grandi del mondo, Xi Jinping e Trump: quest’ultimo ha pure suggerito al solito via twitter di usare gli aerei antincendio per spegnere le fiamme, cosa però esclusa dalle autorità francesi competenti, perché tali interventi potenzialmente sono più dannosi dell’incendio stesso. L’arte e la storia non sono il forte di Donald.

«Sembrava di essere tornati al medioevo, quando le cattedrali gotiche europee erano spesso preda d’incendi agli ampi tetti lignei, per la natura stessa del materiale da costruzione, che spesso l’incuria umana o la folgore celeste portavano a infiammarsi. Gli incendi erano il massimo terrore e il sommo spettacolo, insieme, delle popolazioni delle grandi città europee, che in quei casi si accalcavano per osservare la distruzione fiammeggiante.

Anche ieri si sono ripetute scene del genere, con i Quai de Seine zeppi di gente, con la differenza che sopra la folla si sollevavano migliaia e migliaia di telefonini a filmare gli eventi e a postarli direttamente sui social. Cosicché la tragedia è stata seguita in diretta da miliardi di persone sul web, molto più delle stesse Torri Gemelle.

Il fuoco è uno dei quattro elementi ancestrali che più risvegliano le paure e le attese della persona umana, come acqua, terra e aria: nell’incendio tutti e quattro questi elementi si mescolano e oggi tengono incollati agli schermi.

Avendo abitato per una decina d’anni a Parigi, Notre-Dame è entrata nella mia vita come un simbolo, ma anche come un luogo di riflessione, di ammirazione e di consolazione. A cominciare dalle vedute dalla retrostante Isola di San Luigi – Notre-Dame è invece situata nell’Isola della città –, da cui Voltaire ammirava le sue ardite architetture mentre scriveva le sue pagine al vetriolo contro i clericalismi d’ogni epoca.

A Parigi Notre-Dame ha sempre rappresentato, almeno da otto secoli, la religione cattolica, ma nel contempo è diventata il simbolo della necessaria convivenza tra chi crede e chi non crede, tra Chiese diverse, tra fazioni ostili.

Ricordo pure di aver un anno intrapreso il più celebre pellegrinaggio francese, quello che in primavera congiunge la Cattedrale Notre-Dame con la “consorella” slanciata e aerea di Chartres, artisticamente più straordinaria della più “massiccia” chiesa parigina. Un pellegrinaggio di giovani soprattutto, ma anche di adulti, in una lunga camminata da una serie di guglie ad un’altra serie, attraverso una delle campagne più fertili d’Europa. Le cattedrali svettavano sulle città ma anche sulle campagne, simbolo dell’unità di un Paese tra ruralità e urbanità.

Un giorno, poi, mi invitarono a pranzare in uno dei ristoranti più esclusivi di Parigi, La tour d’argent, situata in Quai de la Tournelle. Mai mi sarei costretto a pagare per sedermi a quelle tavole raffinate, aristocratiche, dalle cui finestre la cattedrale appariva in tutto il suo splendore e la sua fragilità. Quasi un colpo al cuore di bellezza e di ricchezza.

Sì, a Parigi religione e ricchezza hanno fatto bon menage per secoli, in una continua rincorsa tra la purezza evangelica di tanti monaci e prelati, di povere donnine come di re e imperatori e la sete di guadagno di commercianti e affaristi.

Ancora, Notre-Dame l’ho “abitata” per cerimonie ufficiali, messe e visite di Stato, funerali e presenze papali. Era e tornerà ad essere il luogo in cui la Nazione francese si ritrova nei momenti di dolore e di esaltazione collettiva, nella solennità della sua oscurità illuminata dai colori delle vetrate, per ritrovare la propria coesione, per riaffermare la propria esistenza. Ogni Paese ha un luogo del genere: la laicità à la française ha cercato di trasferire tale solennità del riconoscimento collettivo al Pantheon, sulla collina sopra la Sorbona, ma non c’è riuscita. Notre-Dame è rimasta il simbolo per eccellenza.

Ancora, la guglia di legno. Ero al capezzale di un amico argentino all’Hotel-Dieu, l’ospedale centrale di Parigi, mentre lottava con una leucemia impietosa. Dalla sua stanza si vedeva la guglia di Notre-Dame che sembrava sfidare il cielo nel perché del dolore, ma anche nel tentativo di agganciarlo, almeno idealmente. Così è dello spirito dei francesi, che dubitano e che credono, o perlomeno cercano di credere.

Dal 1163, anno dell’inizio della sua costruzione, Notre Dame ha sfidato incendi, rivoluzioni, devastazioni, saccheggi. Tornerà ad essere il faro di una città bella e ricca come Parigi.

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