Noto, città-teatro
Risorta dalle sue rovine dopo il terremoto del 1693, questa cittadina siciliana offre scorci pittoreschi e meraviglie barocche
Perché Noto esprima al massimo il suo fascino è consigliabile arrivarci in uno di quei “mezzogiorni di fuoco” che fanno cercare ristoro e frescura alla gente di qui nei più remoti recessi delle abitazioni. È allora che, cessato il frastuono di motorini e di radio, il turista che si aggira per piazze, strade, esedre e scalee semideserte può godersi, a premio della sua pazzia, stupefacenti scenografie che sembran fatte apposta per favorire l’incontro di un popolo, lo si immagini in civiche adunanze, in feste o processioni.
È allora che la bellezza solare di questa città-teatro si sprigiona in maniera unica dal calcare dorato di cui è fatta, come da un pane estratto dal forno si esala quel profumo che fa bene al cuore.
Dopo l’apocalittico terremoto del 1693 che desolò tutto il versante sud-orientale della Sicilia, Noto rinacque libera e aperta, avveniristicamente priva di mura, nello splendore e nell’estro di un barocco che, secondo gli intenti della classe dominante spagnola, doveva servire ad ammaliare e impressionare la massa. Risorse più bella e regale delle sue rovine, laddove invece esse avrebbero consigliato misura e modestia: un assurdo che si spiega solo con l’istinto di vita prepotente nell’uomo, ad onta di ogni saggio monito.
Più nessun cataclisma ha funestato come allora queste contrade; ma altra e più sottile è la minaccia dell’oggi. Dietro le fantasiose facciate di chiese e palazzi signorili si combatte infatti un’ardua lotta contro l’incuria, l’abbandono, lo sbriciolarsi del calcare tenero come biscotto, nel tentativo di salvare un’armonia qui miracolosamente superstite, che fa parte del patrimonio spirituale di ogni uomo.
Forse per questo ci si sente tutti di casa in questo estremo lembo d’Europa, e si può far proprio il canto del poeta arabo Ibn Hamdis: «Oh custodisca Iddio una casa in Noto, e fluiscano su di lei rigonfie nuvole!».