Notizie dall’Islanda

L’albero del vicino è un lavoro che rivela uno sguardo terribilmente lucido sulla società attuale. Anche fra i ghiacci islandesi, ossia la civiltà occidentale, la violenza nei rapporti si fa strada

Non è così noto da noi il cinema islandese. L’albero del vicino, candidato agli Oscar oggi in sala, è un lavoro che rivela uno sguardo terribilmente lucido sulla società attuale. Anche fra i ghiacci islandesi, ossia la civiltà occidentale, la violenza nei rapporti si fa strada. È uno sguardo apparentemente freddo, in realtà doloroso. Ricorda il libanese L’Insulto, in cui erano le diversità etniche a farsi guerra. Qui invece è il conflitto tra due famiglie che abitano vicine. L’albero di Inga e Baldwin getta un’ombra imponente nel giardino di Konrad ed Eybirg, rubando quel poco sole che c’è in Islanda. E ciò dà molto fastidio. Le famiglie vivono in situazioni problematiche, ed è la sofferenza ben nascosta e irrisolta che le accomuna a dare origine ad un dissidio all’inizio futile, ma che poi diventa uno sfogo di rancori, pregiudizi, vendette. L’incomprensione minaccia di distruggere entrambe le famiglie a causa di quell’albero che ci si rifiuta di potare. Nella prima famiglia c’è il giovane Atli lasciato dalla moglie che si rifiuta di fargli vedere la bambina, mentre lui ritorna dai suoi, dove la madre è mentalmente disturbata a causa della morte del primo figlio. Sarà questa donna ad attizzare il fuoco con il vicino, che disprezza perché ha lasciato la moglie per una compagna più giovane. La lotta inizia gradualmente: scompaiono gli animali domestici di entrambe le coppie, si installano telecamere di sicurezza… Sono le due donne, soprattutto, a farsi guerra, aizzando i mariti, mentre il giovane Atli tenta inutilmente di farli ragionare. Con il risultato che dall’antipatia e dal giudizio si passa all’odio e alla violenza da verbale a fisica. Non può che derivare la morte.

Il regista Hafstein Gunnar Sigurosson racconta questo dramma antico come Caino attraverso la figura dell’albero gigantesco che darebbe sicurezza e bellezza, e invece assiste come presenza desolata nell’essere visto strumento di distruzione e di morte. Il film è duro, anche violento, glacialmente inarrestabile nelle scene rigorose e nei dialoghi essenziali. Diventa una metafora molto attuale della mancanza di comprensione fra gli uomini, dell’inesistenza del dialogo. La storia infatti può venire letta come l’inizio dei conflitti fra nazioni, etnie, religioni, perché è nel cuore degli uomini e delle donne che incomincia sempre la guerra. Il motivo? La non accettazione del dolore, della diversità, delle esigenze degli altri. Rigoroso e lucido, il film gioca sulla mancanza di comprensione e di perdono, che alla fine genera l’amarezza e la disperazione.

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