Notizie dai mondi musulmani

Come stanno i Paesi islamici? Un breve giro d’orizzonte su una transizione lunga
Siria

Mentre in Afghanistan i talebani hanno sferrato un attacco multiplo nel cuore della capitale, attacco che ha fatto almeno 54 morti, il "Los Angeles Time" pubblica raccapriccianti e macabre immagini di alcuni soldati statunitensi che giocano con i cadaveri dei kamikaze. La peggior conseguenza del culto dell’immagine, che contagia persino nei luoghi di guerra professionisti delle armi che dovrebbero coltivare riserbo e rispetto dei diritti umani, ma anche l’ennesimo simbolo di una sciagurata strategia di lotta al terrorismo: ora si calcola che il semplice ritiro delle truppe straniere dall’Afghanistan costerà da tre a quattro miliardi di dollari all’anno, senza considerare i costi politici, sociali e umanitari.

Se in Afghanistan il sangue continua a scorrere, in Bahrein la Formula Uno ha deciso di correre la sua quarta tappa senza considerare la difficile situazione sociale e politica, determinata dai contrasti tra la minoranza sunnita, che mantiene il potere assoluto sulla ricca economia e sulla politica locale, e la maggioranza sciita, da sempre confinata in ruoli subalterni. Ieri sono stati arrestati un’ottantina di attivisti sciiti.
 
L’Egitto vive anch’esso i suoi patemi d’animo, mai cessati da un anno in qua, a dire il vero. Per il prossimo 23 maggio sono infatti previste le elezioni presidenziali, ultimo atto dell’ascesa dei Fratelli Musulmani e dei salafiti nella gestione del potere. Ma l’esercito non ha certo rinunciato al proprio dominio, escludendo dalla competizione, attraverso la Commissione elettorale controllata dai militari, un ex di Mubarak, l’ex capo dei servizi segreti Omar Suleiman (per 31 firme mancanti su 100 mila), il vero capo carismatico dei Fratelli Musulmani, Khairat al-Shater (per una vecchia storia di riciclaggio, dubbia, che lo aveva portato in carcere) e il salafita Hazem Salah Abu Ismail (per il passaporto statunitense della madre), oltre ad altri sette candidati. Tutto ciò porta alla rinascita delle speranze dei liberali di vedere un loro rappresentante alla presidenza, nel nome di Amr Moussa, già a capo della Lega Araba. Ma i Fratelli Musulmani hanno già detto che il loro candidato ora è Mohammed Mursi, presidente del partito Giustizia e libertà, da loro candidato per precauzione.
 
La Siria è sotto la lente d’ingrandimento di tutta l’opinione pubblica mondiale. Grazie alla mediazione di Kofi Annan, e nonostante le reciproche accuse di non aver rispettato i patti, in qualche modo la tregua accettata dal regime di Assad e dalla poliedrica compagine dei rivoltosi è stata proclamata. In realtà il ritiro dell’esercito dalle città più colpite dalla guerra civile – perché di guerra civile si tratta – non è stato né completo né rapido, come ha confermato il segretario generale dell’Onu stesso, ma anche da parte dei rivoltosi non mancano gli agguati e le vendette. E tuttavia qualche spiraglio sembra permanere, per una transizione il più possibile pacifica verso una “nuova Siria”. Certo è che le tossine politicamente pericolose sparse nel Paese rendono oltremodo incerto il futuro.
 
Nel frattempo tra Tunisia e Libia continuano le accuse per via di un gruppo di 80 lavoratori tunisini nell’industria petrolifera rapiti e poi rilasciati. È un sintomo della precarietà della situazione nella regione. In Tunisia il governo di Hennada cerca di portare la normalità, ma deve fare i conti con la continua contestazione salafita e, soprattutto, con una crisi economica da far paura, soprattutto per il turismo che non riparte. In Libia, invece, continuano gli scontri a fuoco tra tribù rivali, soprattutto nel sud del Paese, mentre il governo non riesce a rimettere in piedi una struttura amministrativa statale saltata per aria assieme al regime del rais. A Zintan, Misurata e Bengasi, come in altre città, si stanno formando milizie tribali che paiono piccoli eserciti: ciò non promette nulla di buono.
 
Per non parlare del Sudan, dove il presidente Bashir afferma di voler riconquistare il Sud… E della Turchia, dove invece le istituzioni statali hanno avviato un buon contatto con le autorità cattoliche per un riconoscimento della Chiesa… E dell’Iraq, dove, a quasi dieci anni dall’invasione di Bush, si contano ancora 37 morti in un sol giorno per attentati nell’infinita lotta tra sunniti e sciiti…

Insomma, notizie sparse, per un panorama che evidenzia quanto la cosiddetta “transizione” – araba ma non solo – sarà lunga, dolorosa e sanguinosa. Ma non per questo senza speranza.



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