Not here, not now: i paradossi dell’arte contemporanea

In un dialogo surreale tra sé e sé Cosentino ci racconta i dubbi e le perplessità intorno all’arte contemporanea e alle sue strategie di mercato
Andrea Cosentino

Not here, not now, l’ultimo lavoro di Andrea Cosentino, attore e autore tra i più interessanti della scena romana, è un’intelligente quanto dissacratoria riflessione sui meccanismi dell’arte contemporanea. Al centro della sua operazione di svelamento sta l’improbabile ed esilarante ricostruzione delle pratiche performative di Marina Abramovic, indagate attraverso un continuo e sagace confronto tra queste ultime e le prassi attoriali dell’autore stesso. Il nocciolo del ragionamento può essere forse sintetizzato nella domanda: cos’è l’arte?

La complessità della risposta, che richiederebbe un’analisi approfondita e pedissequa a chiunque tentasse di formularla nei termini di una riflessione intellettuale, qui arriva schietta come un’onda e si frantuma con la forza di una risata liberatoria e tutt’altro che cerebrale sostenuta dal meccanismo debordante e logorroico sapientemente costruito da Cosentino. L’attore racconta con piglio ironico episodi della propria infanzia, mettendoli a servizio di un discorso fintamente impegnativo sui personalissimi motori interiori delle proprie scelte estetiche. E lo stesso fa con Marina Abramovic, tessendo la trama di una tela in cui i continui rimandi acquisiscono spessore comico grazie a dinamiche drammaturgiche di rispecchiamento e contrasto.

L’attore si moltiplica sulla scena nuda, declinandosi in innumerevoli voci con l’abilità e la delicatezza di un mimo: è sé stesso, è sua madre, è un intellettuale snob, è Marina Abramovic. È tutto fuorché quell’unità di intenti, quella presenza e quell’autoreferenzialità che l’arte contemporanea oggi pretende spesso di usare a mascheramento di un’assenza di contenuti. Col solo aiuto di qualche oggetto di scena, un naso finto, una parrucca, un paio di occhiali e altre chincaglierie da Trovarobe, Cosentino snocciola ironicamente gli aspetti più paradossali del metodo Abramovic e più in generale dell’arte contemporanea da Duchamp a oggi: l’arte artistica, disumanizzata e concettuale.

Il tema dello spettacolo, tutt’altro che superficiale, è affrontato con la leggera disinvoltura del comico da cabaret, la gestualità composta e naturale e il ritmo incalzante che non lascia il tempo ai pensieri di sedimentare, presi dentro un racconto che sorprende lo spettatore ingenuo ancora in attesa che lo spettacolo inizi. Ma quale spettacolo? Ecco il paradosso: il corpo dell’attore che si mostra è già performance prima ancora che si compia l’esperienza del racconto. È presenza, in un qui e ora che è privo di qualunque dimensione narrativa. E se Marina Abramovic può affermare che la differenza sostanziale tra teatro e performance risiede proprio in questa distanza esperienziale per cui «nella performance il coltello è vero e il sangue è sangue, mentre in teatro il coltello è finto e il sangue è Ketchup» (The artist is present, 2012) a Cosentino non resta che dissacrare questo paradigma scivolandoci dentro con teatralità, trafiggendo il corpo nudo con un coltellino finto con lama a scomparsa e imbrattando la scena con schizzi di profumatissima salsa di pomodoro. A completare il lavoro più squisitamente teatrale una serie di video che ripropongono in chiave parodistica alcune celebri performances della Abramovic, realizzati da Tommaso Abbatescianni.

Di e con: Andrea Cosentino

Regia: Andrea Virgilio Franceschi

Teatro Argot, Roma

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