San Cataldo ricorda i suoi “migranti sfortunati”
Cinque anni fa, una tragedia del mare. Il 3 ottobre 2013, 368 persone morirono annegate al largo di Lampedusa. Una tragedia che segnò profondamente la storia dell’Europa, che scosse le coscienze.
Cinque anni dopo, una cittadina siciliana, San Cataldo, ricorda quei morti. Uno di loro è stato sepolto proprio nella cittadina situata alle porte di Caltanissetta. Quei cadaveri, recuperati in mare, trovarono ospitalità e furono seppelliti in vari cimiteri siciliani. Disseminati nelle tombe comuni, in tutta l’isola, talvolta senza una lapide, più spesso dimenticati.
Aa San Cataldo non è così. La cittadina ha, in qualche modo, adottato, il suo “migrante sfortunato”. Gli ha anche dato un nome: Ghanet. Significa: “Paradiso”. «Quel nome è stato suggerito da un prete ortodosso – spiega Lino Pantano, consigliere comunale – è un nome eritreo, che è utilizzato sia al maschile, che al femminile. Del migrante seppellito da noi sapevamo poco: sapevamo che era eritreo, ma non sapevamo se era un uomo o una donna. Ma abbiamo voluto dargli un nome, in qualche modo adottarlo, accoglierlo nella nostra comunità. E Ghanet era proprio il nome giusto».
Da quattro anni, San Cataldo si ricorda di Ghanet. Il sindaco, Giampero Modaffari, insieme ai consiglieri comunali, alle autorità cittadina, ad alcuni gruppi delle scuole, si è recato al cimitero per rendere omaggio a quel giovane o a quella giovane, perito in mare.
Hanno aderito anche una ventina di associazioni. Emblematicamente, si è scelta la data della Giornata mondiale del migrante e del rifugiato.
Nel cimitero di San Cataldo, ci sono anche Karim e Messi, morti in due naufragi successivi, ed ospitati in loculi donati da una confraternita. «A San Cataldo – continua Lino Pantano – abbiamo accolto tre naufraghi ai quali abbiamo voluto dare, al posto dei numeri, un nome: Ghanet, Karim e Messi. Karim significa “persona nobile, generosa”.
Messi, invece, è il vero nome della ragazza. Era stata identificata da una compagna scampata al naufragio. La manifestazione, in questo momento particolare per l’Italia, ha assunto un enorme significato che rafforza la cultura dell’accoglienza e della fraternità universale.
«Sulla lapide, insieme al nome, abbiamo scritto “nostri fratelli migranti“. Ne siamo fieri». E aggiunge: «Questo momento si ripete da quattro anni, sempre con la stessa intensità e partecipazione. Per me, è un segno di speranza. Erano presenti tanti bambini e ragazzi. Abbiamo potuto vivere questo momento anche con loro: è importante trasmettere questi valori alle nuove generazioni, in questo momento difficile, in cui si sta diffondendo, sia a livello nazionale, sia a livello locale, una cultura contraria all’accoglienza. Insieme ai nostri ragazzi, abbiamo voluto lanciare un messaggio ed aprire gli occhi su una visione del mondo che rischia di appannarsi: il mondo appartiene a tutti e non solo ad alcuni».