Nostalgia della lira?
Quanta nostalgia! Intanto non serviva impazzire con i centesimi, e neanche con gli zero virgola degli “spread” dei tassi d’interesse, che si fa un sacco di confusione: se andavi in banca a chiedere un prestito ed eri bravo a farti mettere tra i clienti molto affidabili magari ti chiedevano un 22,5% (prime rate Abi aprile 1981), ma almeno era un numero che si capiva che cos’era.
E si era stimolati a non perdere una banconota nel fondo di qualche borsa: se la ritrovavi 5 anni dopo era andato in fumo più della metà del loro potere d’acquisto; no come adesso che i ministri dell’economia hanno addirittura il terrore che i prezzi cadano.
Mica era come adesso che vai in Francia o in Slovenia così come niente fosse e continui a usare anche lì i soldi che hai in tasca. Era tutta un’altra suspence: se avevi più di 500.000 lire dovevi nasconderle con cura nella valigia, e poi arrivato di là dovevi cambiarle, e lì si vedeva la bravura di chi riusciva a non farsene succhiare una fetta troppo grande agli uffici dei cambi.
E, poi, se dovevi fare un viaggio attraverso la Germania nell’estate successiva, quanta soddisfazione se indovinavi di comprare i marchi tedeschi prima che la lira andasse giù. E non erano bazzecole, perché dal 1971 al 1995 per comprare un marco si è passati dalle 180 lire del 1971 alle oltre 1200 del 1995!
E vi ricordate quelle storie gustose che raccontavano i nostri conoscenti che andavano a visitare le piramidi, che i nugoli di ragazzini che chiedevano soldi ai turisti, se ricevevano lire, anziché marchi o franchi, e le ridavano indietro.
Bei tempi quelli! Altro che adesso con questo stupido euro!
Perdonate l’ironia, e perdonate anche la parzialità di questi aneddoti. Ma ho l’impressione che oggi si rischi di raccontare una storia un po’ sentimentale. In fondo per molti di noi gli anni della lira sono stati i “begli anni della gioventù” o, come si dice adesso, in cui eravamo “young adults”.
Ho vissuto a Trieste negli anni della protesta autonomista contro il governo centrale, anni in cui le mostre su Maria Teresa d’Austria attiravano folle nostalgiche; e poi in Veneto in tempi di recupero dell’identità regionale attorno al simbolo della Serenissima. Pezzi importanti della nostra storia, senza dei quali non saremmo quello che siamo.
Ma, prima di sognare di tornare indietro buttando a mare la nostra pur traballante democrazia, cerchiamo di non dimenticare quante maledizioni la povera gente di quei tempi mandava all’indirizzo dell’Imperatore, o del Doge e del suo contorno di nobili che vivevano di rendita sulle campagne lavorate con tanto sudore, ma poca polenta, dai nostri antenati.
Certo che l’euro non è tutto oro! Certo che la politica economica europea poteva e doveva essere, da un lato più espansiva (soprattutto da parte dei Paesi in surplus commerciale come Germania e Olanda), e dall’altro più solidale (ad esempio nel finanziare insieme i sussidi di disoccupazione – altissima e quindi onerosissima ad esempio per la Grecia).
Ma la previsione più realistica che possiamo fare a riguardo di un’Italietta che si staccasse dall’Europa per godersi la sua indipendenza è che andrebbe alla deriva.
Ma non tanto verso la sponda sud del Mediterraneo, quanto piuttosto, a dispetto della geografia, verso quell’Argentina – terra di proverbiale instabilità economica – che ha quasi tanto sangue italico nelle vene quanto ne abbiamo noi.