Non voto e partecipazione dei cittadini

L'ultima tornata elettorale ha messo in luce il grande problema dell'astensionismo e di un elettorato sempre più liquido e imprevedibile.
Foto: LaPresse

Le elezioni amministrative del 12 e 26 giugno segnalano una difficoltà del sistema politico italiano tra esempi di civismo, populismi, anche se hanno esaurito la spinta propulsiva e area del non-voto. Questa rappresenta ormai il più grande partito delle democrazie occidentali. Le legislative in Francia esprimono rabbia, scontento, polemica sia a destra che a sinistra. Le élite tecnocratiche si interrogano continuamente, sorprese dai risultati elettorali. Dovrebbero girare nel Paese, a partire dalle periferie e dagli ultimi, per rendersi conto delle eccessive disuguaglianze e delle difficoltà di milioni di cittadini tra aumento dei prezzi, delle bollette, del disagio, delle povertà.

Foto: LaPresse

Solo rimettendo i cittadini al centro del sistema con un vasto progetto di inclusione e di partecipazione, si può uscire dall’antipolitica. È la risposta della democrazia partecipativa, fondata sulla sussidiarietà, sulla generatività per costruire insieme il bene comune e per riempire il vuoto di senso. Le elezioni amministrative, con una buona legge elettorale a due turni, hanno tuttavia evidenziato una sana alternanza nel governo locale e premio alla buona amministrazione, quella vicina ai cittadini. Così non è a livello nazionale. Afferma Leonardo Becchetti: “Eppure i meccanismi per creare percorsi di cittadinanza attiva e dare risposte alle ansie dei cittadini esistono e vanno attivati urgentemente. Ne hanno bisogno quegli stessi enti intermedi e quelle associazioni che sono uniformemente riconosciuti come eco- sistema argine contro le derive populiste, ma non possono vivere di rendita indefinitamente se non si ravvivano le forme di rappresentanza. Per esempio , la democrazia partecipata nel campo dell’energia si chiama ‘comunità  energetica’, un modo di produrre e di consumare energia diffuso e, appunto, partecipato che non solo paga in termini di salute, clima, di convenienza,  di prezzo e indipendenza energetica ma è  anche l’unica risposta possibile  a un progressivo  congestionamento delle reti elettriche che abbiamo già sperimentato nei giorni scorsi con i sempre più  frequenti blackout da sovraccarico nelle principali città italiane.  La democrazia partecipata nel campo del welfare si chiama ‘coprogettazione’ e ‘coprogrammazione’, ovvero costruzione da parte delle amministrazioni assieme ai cittadini dei nuovi servizi della cura partendo da bisogni e domande di chi vive il problema. La democrazia partecipata nel mercato si chiama ‘consumo e risparmio responsabile'” (Avvenire, 29 giugno 2022).  Sta ora alle forze politiche rinnovarsi rapidamente e dare spazio a queste forme partecipative prima che sia troppo tardi, visti gli enormi problemi creati da epidemia, guerra e cambiamento climatico.

 

Mario Draghi. Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Questa tornata amministrativa ha messo in luce poi un elettorato sempre più liquido ed imprevedibile. I partiti sono costretti a camminare sulle sabbie mobili. Registriamo il passaggio da un partito all’ altro e verso l’astensionismo. I cittadini chiedono posizioni costruttive e sono sempre meno influenzati da ideologie e populismi, afferma Paolo Pombeni. I giochi di Palazzo non sono di certo apprezzati. Si chiede competenza e responsabilità. Tuttavia le elezioni politiche prossime con collegi uninominali ampi, se non verrà cambiata la legge elettorale, saranno una storia molto diversa, lontana dal civismo ed influenzabile dai media e dagli orientamenti nazionali. La figura del candidato Sindaco pesa di più tra i cittadini   rispetto a quella del candidato al Parlamento. Questo non significa che non si voglia un profondo rinnovamento della classe politica. Come nelle elezioni di giugno si desidera un ricambio. Le forze politiche dovranno offrire competenza ed onestà, un sano professionismo politico misto ad una reale apertura alle tante risorse della società civile. Forse manca un soggetto politico capace di attirare quel 40 per cento di elettori astenuti.

I due partiti più forti, Pd e Fratelli d’Italia presentano due nodi per Angelo Panebianco. Questi saranno probabilmente i due avversari principali, anche se insieme non superano il 50 per cento dell’elettorato, in un mare di frammentazione partitica. Per il Pd è un problema il “campo largo”, per FdI lo è la posizione sull’ Europa. La scelta atlantista ed una probabile intesa con gli amministratori locali di Lega e Forza Italia, aprono la strada alla leader Giorgia Meloni. Il macigno però, che potrebbe trovare è l’Unione europea. Il tema della” sovranità nazionale” è elemento di forte preoccupazione a Bruxelles. Con il Pnrr l’Europa unita non è più un tema di “politica estera” ma di “politica interna” che incide pesantemente sugli interessi economici degli italiani. Riuscirà FdI a fare un piccolo strappo identitario per superare lo scoglio sovranista? Si parla con Francia, Germania e Spagna di maggiore integrazione europea e non di “confederazione”, cara ai conservatori europei. Ci sarà un cambio di rotta? Il PD invece è sicuramente europeista e, dopo le decise prese di posizione di Letta sull’ Ucraina, decisamente atlantista e pro Nato. Il problema è la patrimoniale che potrebbe alienargli la simpatia di un popolo di proprietari di case e assicurargli un’amara sconfitta. Il vero nodo politico però è quello delle alleanze. Non basta mettersi insieme in un “campo largo” per battere le destre. Serve dire cosa si vuole fare e su questo è difficile aggregare M5S, Calenda, Renzi ed altri. Il campo largo assomiglia ad un campo minato. Serve una seria piattaforma programmatica condivisa da un centro- sinistra europeista allargato. La battaglia per le politiche è aperta. Potrebbe vincere una coalizione a guida Pd o Fdi. Se non ci sarà alcun vincitore, si può immaginare un nuovo governo europeista a guida Draghi.

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