Non votare ha la stessa dignità del voto?

La lettera di una lettrice che non condivide il nostro invito ad andare a votare. La risposta di Michele Zanzucchi

«Cari amici, due precisazioni sull’articolo di oggi di Michele Zanzucchi. Il Santo Padre non ha solo detto quanto citato nell’articolo; ad es. il 29 luglio 2007, nel discorso in occasione del 50° anniversario dell’Agenzia atomica internazionale (Aiea), lanciò un appello al disarmo nucleare e “all’uso pacifico e sicuro della tecnologia nucleare per un autentico sviluppo, rispettoso dell’ambiente e sempre attento alle popolazioni più svantaggiate».

 

Stessa cosa la ritroviamo nel Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, che cita due discorsi di Giovanni Paolo II. Al n°. 470, a proposito di risorse energetiche, si invita la comunità scientifica “a identificare nuove fonti energetiche, a sviluppare quelle alternative e a elevare i livelli di sicurezza dell’energia nucleare”.

 

«Inoltre, l’invito pressante ad andare a votare dà la precisa indicazione della volontà di raggiungere il quorum, e non viene adeguatamente sottolineato invece che la Costituzione – nel caso dei referendum – dà un valore positivo al non voto, prevedendo infatti un quorum (il 50 per cento) al di sotto del quale il referendum è annullato. Quindi il non voto, al referendum, ha la stessa dignità del voto ed è considerata una scelta chiara di disapprovazione dei quesiti referendari.

 

«Le parole di Zanzucchi invece fanno intendere che è necessario votare per poter “esprimere il proprio parere popolare” e dimostrare una “partecipazione attiva” e ciò non è oggettivamente vero. Non basta dire ai lettori di andare a votare “dopo essersi opportunamente informati”. È davvero importante che il nostro giornale offra ai lettori la possibilità di informarsi, di farsi davvero una idea, offrendo ogni punto di vista in modo oggettivo, cosa che purtroppo troppo spesso – come in questo articolo – non accade.

 

«Credo davvero ad un giornalismo nuovo, alla possibilità che l’esperienza che Chiara ci ha offerto possa davvero cambiare il mondo, ma sempre più spesso ritrovo negli articoli di Città nuova le stesse cose che scrivono altri giornali, a volte gli stessi titoloni, svuotati completamente dall’ardore di offrire la verità oggettiva delle cose e senza più quella straordinaria passione ad andare controcorrente, trasmessaci da Chiara Lubich: “Il mondo t’investe come un fiume in piena e tu devi camminare contro corrente. Il mondo per il cristiano è una fitta boscaglia nella quale bisogna vedere dove mettere i piedi. E dove vanno messi? In quelle orme che Cristo stesso ti ha segnato passando su questa terra: sono le sue parole”».

 

Manuela Attanà

 

 

Cara Manuela, grazie della lettera che pubblichiamo per intero su questo “nostro” sito. Grazie per la passione che mette nelle sue argomentazioni. Mi preme tuttavia rivolgerle alcune precisazioni: in primo luogo non abbiamo certo detto che Benedetto XVI ha dichiarato di votare sì al quesito sul nucleare. Abbiamo solo giornalisticamente riferito che, a tre giorni dal referendum, volando come sempre alto, il papa ha dato un’indicazione alle coscienze. Che poi decidono nella solitudine della cabina elettorale. Riguardo poi al fatto che votare sia un “dovere”, e non votare un “diritto”, in senso lato certamente è vero, e nessuno lo mette in dubbio.

 

Ma la Costituzione italiana non lo dice esplicitamente a proposito del non partecipare ai referendum. La questione è però, ci sembra, un’altra: nel progressivo distacco della politica dalla gente, nella disaffezione verso tutto quanto sa di bene comune, nel trionfo dell’individualismo più sfrenato, votare, oggi e sempre, è un esercizio, il massimo esercizio di democrazia, di partecipazione, di cittadinanza attiva. È un esercizio “controcorrente”, ormai. È perciò urgente esercitare ogni possibile forma di partecipazione che la Costituzione offre ai cittadini per costruire la società insieme. (Da tre settimane Città Nuova online ha pubblicato una ventina di articoli sui referendum…).

 

Infine, sul “giornalismo nuovo” da lei auspicato, sulle orme di Chiara Lubich: mi lasci dire che anche noi cerchiamo con i nostri limiti di realizzarlo. Non è detto che vi riusciamo, ma il tentativo c’è. Venga in redazione un giorno alle 9.15 la mattina quando discutiamo su quanto pubblicare sul sito nella giornata e per programmare il lavoro della rivista: Chiara Lubich non è più tra noi fisicamente, ma lo è nello spirito di tutti i componenti della redazione. È in questa relazione professionale che cerchiamo di servire quella che lei chiama “verità oggettiva”. Non pretendiamo di riuscirci, questo no, perché nessuno da solo può farlo.

 

Michele Zanzucchi

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