Non tutto fa brodo
Inutile dire che si tratta di un libro decisamente gustoso. E un libro che parla di cibo dalla prima all’ultima parola non potrebbe che essere tale. Il cibo interpretato da un antropologo colto che attraverso brevissimi capitoli ci introduce al nutrimento in tutte le salse. Ovvero, ci racconta la nostra società e i nostri stili di vita, attraverso quello che mangiamo.
Non è un libro per cuoche, mi verrebbe da dire, ma un libro che, parlando di cibo, parla di noi, della nostra storia, cultura, agricoltura, dei nostri paesaggi, della nostra economia. Perché – come precisa l’autore – il cibo è il vero carburante della storia, per una ragione naturale e una culturale. La prima è che l’uomo mangia per vivere.
La seconda è che vive per mangiare. Questo dato culturale e sociale ci differenzia da tutti gli altri animali, carnivori ed erbivori.
Il libro è piacevole, arguto, ironico, fa riflettere sull’origine di molti cibi, sul loro legame con le culture, persino sull’intreccio tra cibo e letteratura. Scopriamo così che una zuppa può essere un esempio di laboratorio interculturale, che un’insalata è fatta di niente ma ci si può mettere tutto, che la ricotta pare sia stata reintrodotta in Italia da san Francesco.
Insomma, gli aneddoti culinari non mancano di stupire e incuriosire il lettore. Ogni tanto si ha l’impressione che prevalga un approccio estetico alla questione cibo, trascurandone alcuni aspetti problematici. Penso ad esempio all’ineguale distribuzione del cibo nel mondo, al peggioramento dell’alimentazione anche nei Paesi più ricchi, al consumo di suolo nei Paesi occidentali (e in Italia in particolare) e all’accaparramento di suoli agricoli nei Paesi in via di sviluppo.
Come dire: oggi parlare di cibo significa parlare di politica, giustizia sociale, ambiente e interdipendenza planetaria. Temi cruciali ai quali anche l’antropologia dovrebbe guardare con più attenzione.