Per non tradire l’amore (Dare to Care II)

 
(Foto Claudio Furlan - LaPresse)

Diceva Erich Fromm che l’amore implica una preoccupazione attiva per la vita e la crescita di coloro (e di ciò) che amiamo, altrimenti non è amore. In altri termini, se l’amore non include la cura – che è per definizione sempre attiva -, non è amore.

Nel Nuovo Testamento, la parabola che unisce in modo sublime amore e cura (epimēleia) è quella del Buon Samaritano. Per la maggioranza degli esegeti si tratta di un racconto che esorta a un cambio di atteggiamento. Secondo Marta López, non tutti i commentatori hanno focalizzato bene il tema della cura, mentre si sono soffermati su quello dell’amore al prossimo, certamente importante nel racconto. Con ciò, si corre il rischio di perdere di vista la vera originalità della parabola, che è proprio l’inversione che Gesù fa della domanda postagli dal maestro della legge. Quello si domanda “chi è il suo prossimo”. Come risposta, Gesù gli domanda, a sua volta, «quale dei personaggi della storia è stato davvero prossimo al povero che è incappato nei ladroni». In questo modo, Gesù non si limita a dare un parere teorico, ma invita ad essere vicini a tutti quelli che soffrono.

La parabola è ricca di contenuti. Ne sottolineo alcuni, essenziali, seguendo l’analisi dell’autrice spagnola:
Il prendersi cura supera la regola d’oro («fare agli altri ciò che noi vorremmo che loro facessero a noi»), ne rompe i limiti. È il proprium christianum, la novità di Gesù.
– Gesù sostituisce la struttura concentrica attorno all’io per una nuova centrata nel tu. Inoltre, questo “tu” è qualsiasi persona, e non solo quelli della nostra famiglia, etnia, nazione.
– Nel prendersi cura, l’incontro affettivo con l’altro diventa effettivo. Chi si fa veramente prossimo a chi soffre (il samaritano, l’albergatore) diventa un “soggetto operatore di trasformazione”, di fronte a quelli, purtroppo tanti, che sono invece “operatori di carenze” (i banditi, il levita, il sacerdote).
– La cura è universale. Gesù elimina la distanza fra sacro e profano.
– La cura non ha solo un presente, ma anche un domani. Infatti, il samaritano prevede anche il futuro: paga le spese e tornerà dall’albergatore. Con ciò l’amore non diventa solo qualcosa di puntuale, ma comporta una continuità.
– La cura rasenta l’iperbolico (il samaritano fa molto di più di ciò che sembra necessario) e con ciò ci mette di fronte alle esigenze dell’amore vero.

A questo punto, possiamo porre in forma di domanda l’incalzante affermazione di W. Harnisch (citato da Marta López): siamo davvero all’altezza delle esigenze dell’amore? Non è che una così “incomprensibile” reazione (quella del samaritano) all’estrema necessità di un sofferente, in realtà smaschera il «quotidiano tradimento che si fa all’amore»?

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