Non tassare il bisogno ma spendere meglio
Concludiamo il nostro dialogo con il coordinatore del distretto sanitario della Asl 8 di Arezzo. A partire dai singoli casi siamo giunti, con il dottor Luigi Triggiano, a individuare i punti nevralgici da cui ripartire per razionalizzare i costi di una spesa che resta al di sotto della media europea. Ma restano alcune domande.
Cosa pensa della spending review (revisione della spesa), intesa come tagli alla sanità?
«Questa parola, spending review, diventata di moda, si presta, applicata al nostro sistema sanitario, a un’interpretazione che a mio giudizio mistifica la realtà. Bisogna innanzitutto sapere che la spesa pubblica (ricordo pari al 7,3 per cento del Pil) è composta dalle finanze trasferite dallo Stato attingendo all'Irpef, all'Iva e all'Irap, a cui si aggiungono quelle delle Regioni con ticket, intramoenia, ecc… In secondo luogo quella della sanità è una spesa programmata nel bilancio dello Stato. Ebbene nessuno nei vari talk show ha detto agli italiani che negli ultimi anni la spesa sanitaria effettiva è stata per la prima volta inferiore a quella programmata. Cosa che ha fatto dire alla Corte dei conti nel rapporto del maggio 2012: "È indubitabile che quella sperimentata in questi anni dal settore sanitario rappresenti l'esperienza più avanzata e più completa di quello che dovrebbe essere un processo di revisione della spesa". Un processo che non ha eguali in nessun altro ambito della pubblica amministrazione. Ciò che invece oggi è sotto gli occhi di tutti è una eccessiva variabilità tra le regioni nel rapporto costo/efficacia nell'erogare servizi e prestazioni».
Ma di cosa ha bisogno la sanità italiana?
«Non abbiamo bisogno di una revisione della spesa, bensì di una revisione dei costi. Dovrebbe essere comprensibile per ogni cittadino attento che i problemi sopra esposti non si affrontano con tagli lineari alle risorse, ma con una riorganizzazione dei servizi e dei percorsi assistenziali. È necessario puntare su un nuovo e più moderno modello di sanità pubblica, basato su alcuni fondamentali e innovativi pilastri: la prevenzione, l'integrazione dei servizi territoriali e dell'ospedale con questi, la riorganizzazione e il rafforzamento delle cure primarie e della medicina di famiglia, il coinvolgimento attivo delle persone nei processi di cura. Per esempio, chi ha mantenuto la gestione delle malattie croniche dentro gli ospedali rendendo i processi di cura più pesanti, costosi e meno accessibili, moltiplicando le liste di attesa? Chi ha tenuto per anni separati tra loro infermieri, medici di famiglia e assistenti sociali nel territorio? Chi non ha riorganizzato la rete degli ospedali e la gestione dei posti letto? Chi non ha reso più efficienti ed efficaci i sistemi di emergenza, continuando a fare un uso inappropriato delle risorse finanziarie pubbliche? Inefficienze che comunque ricadono nel 9,3 per cento della spesa generale italiana rispetto al Pil».
Purtroppo la sola denuncia sembra non essere sufficiente. Esistono approcci diversi sperimentati per ottimizzare e non ridurre le spese in campo sanitario?
«Posso prendere ad esempio le amministrazioni sanitarie locali (Asl) che stanno riorganizzando i servizi territoriali, come sta avvenendo in Toscana dal 2010. Si stanno costituendo stabili gruppi multi-professionali con medici di famiglia, infermieri, assistenti sociali, specialisti e medici di comunità (Unità di cure primarie o Case della salute, che dir si voglia), per poter arrivare a una gestione integrata delle cure andando incontro, in maniera pro-attiva e programmata, a tutti i pazienti con problematiche croniche, come scompenso cardiaco, diabete, bronchite cronica, ipertensione».
Con quali effetti?
«Si stanno ottenendo risultati eccellenti con riduzione dei ricoveri, degli accessi al pronto soccorso, della duplicazione di esami inutili. Ma ciò che più colpisce è come questo modello di assistenza ai pazienti (Chronic care model nella dizione inglese) stia ottimizzando e garantendo le migliori cure, abolendo le disuguaglianze fra i cittadini così seguiti e rinforzando le capacità di autocura e di controllo sullo stile di vita dei pazienti. E di tutto ciò ci sono ormai inoppugnabili evidenze, come documentato da pubblicazioni specializzate (www.saluteinternazionale.it). Dunque non è né tassando le ricette, come è drammaticamente avvenuto nel 2012, cioè "tassando il bisogno" (che è l'esatto opposto del fondamento etico del Ssn italiano), né invocando nuovi sistemi di finanziamento da parte del sistema assicurativo privato, che in ogni Paese del mondo ha comportato un incremento esponenziale della spesa complessiva sanitaria a carico della popolazione generale, che si affronta il problema del miglioramento della sostenibilità del nostro sistema sanitario. Un sistema, tra l'altro, già riconosciuto, nonostante le difficoltà, tra i più efficienti al mondo. Ciò che invece serve per il bene di tutti è che tutti cooperino, governo, regioni, operatori e cittadini, perché si riesca tutti e dovunque a spendere meglio».