Non solo Pellegrini e Settebello
Imprese altisonanti, certo. Ma i mondiali appena conclusi a Shanghai hanno portato alla ribalta anche altre storie di sport e di vita
Una grande manifestazione sportiva viene solitamente ricordata per alcune imprese da “copertina”. Per noi italiani, ad esempio, i mondiali degli sport acquatici di Shanghai 2011 passeranno certamente alla storia per i successi di Federica Pellegrini che, a soli 23 anni, può essere già inserita di diritto tra le più forti atlete di ogni tempo dello sport azzurro. Ricorderemo anche la splendida vittoria della nazionale maschile di pallanuoto, capace di tornare sul tetto del mondo dopo alcuni anni di appannamento (l’ultimo titolo mondiale lo avevamo conquistato nell’edizione disputata a Roma nel 1994), e le medaglie di Fabio Scozzoli e Luca Dotto nel nuoto. Oltre ai grandi personaggi e ai grandi risultati, però, una manifestazione sportiva è sempre capace di portare alla ribalta storie meno “rumorose”, ma ugualmente degne di essere sottolineate.
Le lacrime e la scelta “controcorrente” di Alexander «Il nuoto non è tutto, quello che sta succedendo nel mio Paese è terribile. In questi giorni non ho nuotato solo per me, ma anche per la mia gente, per la mia nazione». Alexander Dale Oen, ventiseienne ranista norvegese, ha vinto in Cina la prima medaglia d’oro maschile per il suo Paese in un mondiale di nuoto. Alexander ha emozionato un po’ tutti quando, durante la premiazione dei 100 rana, non è riuscito a trattenere le lacrime mentre ascoltava l’inno nazionale norvegese. A lui, come a chi osservava la scena, sono venute in mente le terribili immagini dell’attentato che, solo pochi giorni prima, ha sconvolto il Paese scandinavo. «Ho nuotato più col cuore che con la tecnica», ha dichiarato commosso Alexander nelle interviste post-gara. Per lui, che negli anni passati si è contraddistinto per essere stato uno dei pochi nuotatori di livello internazionale che, anche a costo di perdere, non ha mai voluto cedere alla “tentazione” di indossare i super-body in poliuretano, un momento particolare, condito in egual misura di gioia e dolore.
La caparbietà di Tania Tania Cagnotto, la nostra bravissima tuffatrice, è stata capace di vincere incredibilmente una medaglia (bronzo nel trampolino da 1 metro) nonostante un tutore al braccio che l’ha fortemente condizionata in gara. Tania due mesi fa è stata vittima di un incidente stradale in cui si è rotta il polso, ha subito una microfrattura alla tibia e si è anche infortunata al ginocchio (le sono stati applicati trenta punti di sutura per un taglio sotto la rotula). Vederla sul podio iridato ai più sembrava un’impresa impossibile, complice anche la mancanza di quell’allenamento indispensabile per competere a certi livelli. Invece la bolzanina non si è persa d’animo, ha continuato a prepararsi seppur a ritmo ridotto, ed alla fine ha ottenuto una nuova medaglia di prestigio (ora è la prima azzurra degli sport acquatici a conquistare il podio in quattro edizioni consecutive dei mondiali).
La “sfortuna” di Maria Maria Marconi, altra nostra tuffatrice, è arrivata a Shanghai dopo una serie di “amari” quarti posti: uno ottenuto agli europei dello scorso anno disputati a Budapest, due agli europei indoor dello scorso febbraio a Torino. Il quarto posto, ovvero “la medaglia di legno”, quel piazzamento che uno sportivo fa più fatica ad accettare. Maria si è presentata al via della rassegna iridata con grandi ambizioni e con il desiderio di salire finalmente sul podio anche per “vendicare” un altro quarto posto, quello ottenuto dai fratelli Nicola e Tommaso che, nella prova dei tuffi sincronizzati dei mondiali di Roma 2009, masticarono amaro, mancando la medaglia per appena nove centesimi di punto. Maria, pur disputando una bellissima gara, non ce l’ha fatta: ancora quarta, sempre lì, ad un passo dal podio. Alla fine qualche lacrima di amarezza ha bagnato il suo volto, ma la nostra atleta è pronta a ripartire un’altra volta per inseguire, forse con ancora più determinazione, un risultato di maggior prestigio.
Le altre storie Eh già, i mondiali cinesi hanno offerto diversi spunti tecnici di rilievo: l’en plein cinese (dieci medaglie d’oro in altrettante gare disputate) nei tuffi; il primo record del mondo ottenuto da quando è stato abbandonato il costumone in poliuretano (lo ha stabilito lo statunitense Ryan Lochte nei 200 misti, a dimostrazione che l’uomo può battere anche la tecnologia); il ventiseiesimo titolo mondiale conquistato dal “cannibale di Baltimora”, sua maestà Michael Phelps, l’atleta vincitore del maggior numero di medaglie d’oro nella storia dei Giochi olimpici (14).
Ma a Shanghai abbiamo visto anche l’attacco di panico che ha colpito la nostra nuotatrice di fondo Giorgia Consiglio (nuotava nelle prime posizioni quando, dopo aver ricevuto un colpo sotto il costato che le ha causato una sorta di blocco respiratorio, si è fermata per paura di morire). Abbiamo visto nuotare una fondista cinese di appena 11 anni (un assurdo, se si pensa alle conseguenze fisiche e psicologiche che può comportare il gareggiare a questi livelli così precocemente). Abbiamo visto, purtroppo, un atleta iraniano rifiutarsi di entrare in acqua perché nella stessa prova era iscritto anche un atleta israeliano. Perché il mondiale appena concluso non ha offerto solo grandi personaggi e grandi prestazioni, ma è stato anche uno specchio della vita quotidiana, con le sue gioie e i suoi dolori.