Non solo chiacchere

Non riesco a capire l’esatta funzione scientifica di uno psicologo… come fa a guarire lavorando solo con le chiacchiere?. Lucia – Roma Certamente la psicoterapia è una cura con le parole, ma ciò non significa una cura con le chiacchiere. La comunicazione umana, come noto, è costituita da un 7 per cento di parole, un 38 per cento di tonalità e un 55 per cento di fisiologia, cioè dalla gestualità e dalla mimica espressiva. Il linguaggio verbale, pur essendo solo il 7 per cento, è importantissimo perché ha un potere straordinariamente persuasivo, tanto che un premio Nobel come il neuroscienziato Eric Kandel ha fatto l’ipotesi che la parola, con il corredo di emozioni che comporta, possa agire sull’espressione proteica dei geni. La parola infatti è uno stimolo che coinvolge le emozioni, la storia, una quantità di elementi che possono indurre l’espressione delle proteine, che arrivano poi alle sinapsi e ne alterano stabilmente la trasmissione: il che modifica l’attività di intere aree del cervello. Il farmaco opera nella stessa struttura sinaptica, con modalità che possiamo considerare analoghe alle parole: c’è una convergenza, una via finale comune sulle sinapsi da parte sia del farmaco che della parola. Su questa linea appare giustificato l’interesse per una psicoterapia in pazienti le cui funzioni sinaptiche siano alterate. E quando la funzione delle sinapsi che interessano i circuiti delle emozioni o del pensiero è alterata, si possono avere disturbi del tono dell’umore e del pensiero, attraverso i quali possono manifestarsi nevrosi e psicosi. Kandel sapeva il fatto suo: non si dimentichi che ha iniziato la sua strepitosa carriera di scienziato come psichiatra e, successivamente, si è interessato alla biologia cellulare. D’altra parte un altro grande neuroscienziato come Louis Cozolino nel suo ultimo libro The neuroscience of the psychotherapy dichiara proprio che oggigiorno è in atto un paradigma emergente, quello dello psicoterapeuta come neuroscienziato clinico. È bene chiarire che la psiche potrebbe essere immaginata come un cono con la punta infilata nelle profondità del cranio. La parte del cono che affonda nel centro del cervello, tocca la parte libica, il cosiddetto cervello emotivo: per influenzare questa zona delicata del cervello c’è bisogno di cure che arrivano direttamente dal basso, dall’organismo, passando per il tronco encefalico; cure che possono essere gli psicofarmaci oppure tecniche corporee di vario genere. Nei tanti disturbi del cervello corticale, quello cognitivo rappresentato in primis dai lobi frontali, che interessano la parte progressivamente allargata del cono, la psicoterapia è il trattamento da preferire. Una conferma viene direttamente dalle tecniche di brain imaging, soprattutto dalla tomografia a emissione di positroni (Pet) e dalla risonanza magnetica funzionale (Fmri), applicate su pazienti psichici prima e dopo un trattamento psicoterapeutico. Infatti alcuni ricercatori del Rotman Research Institute di Toronto hanno sottoposto a brain imaging due gruppi di pazienti affetti da depressione, uno dopo un trattamento di terapia cognitivo-comportamentale, e l’altro dopo un trattamento di terapia farmacologia. Entrambe le terapie hanno dimostrato di avere un effetto organico, modulando il funzionamento di alcune regioni del cervello, ma sembrano seguire due strade differenti. Lo psicofarmaco agisce modificando l’equilibrio biochimico delle aree interessate; la psicoterapia, cambiando il modo con cui il soggetto interpreta gli stimoli e i comportamenti provenienti dal mondo esterno, fa probabilmente in modo che dalla corteccia partano meno segnali negativi verso il sistema limbico. Si può dire che mentre nel primo caso la terapia procede dalle profondità delle parti più arcaiche del cervello per arrivare a influenzare quelle che elaborano la nostra visione del mondo, nel secondo si ha il cammino inverso.

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