Non siamo migliori dei nostri genitori
“Non siamo migliori dei nostri genitori”. Questa frase mi risuona continuamente. Per molti anni della mia vita ho giudicato mia madre e mio padre per tante cose, mi sentivo persino molto estranea a loro. In questi giorni sono andata a casa loro per accompagnarli. È stato difficile per me lasciare la mia casa, la mia vita quotidiana, mio marito, i miei nipoti.
Ho cercato di mantenere la mia routine, ma non è stato possibile. C’era molto da fare: trovare una badante, le pratiche per la previdenza sociale, fare la spesa, riempire il freezer e non smettere di chiacchierare e prolungare la conversazione del dopocena per ritornare su storie già raccontate, festeggiare l’arrivo di qualche rivelazione.
L’amore concreto e la fedeltà al dolore di fronte alla loro vita quotidiana, così impegnativa, in cui sopravvivere richiede uno sforzo eccessivo, quella vita quotidiana che attraversano con amore incondizionato e con la potente convinzione di amarsi finché morte non li separi, mi converte. Mi colpisce anche il numero di persone che esprimono gratitudine ai miei genitori perché, a un certo punto della loro vita, li hanno amati concretamente.
I frutti di questi giorni sono stati molti: una badante amorevole per mia madre, una passeggiata con lei in una domenica di sole, l’eccitazione di papà per la possibilità di navigare di nuovo insieme, la gioia per le foto dei pronipoti. E, per me, la sensazione di essere figlia. Perché anche quando mi occupo di loro, anche quando non ce la fanno, anche quando si perdono nella conversazione, io continuo ad essere figlia. Sono molto grata per questi giorni.
Virginia Borghero (Argentina)
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